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“ULTIMA RISORSA” DI RICARDO L. GARCIA

“ULTIMA RISORSA” DI RICARDO L. GARCIA

Il Racconto della Domenica

 

Il dottor Elliot Cameron in piedi, in quello splendido tramonto, fissava costernato la spiaggia deserta che si stendeva da un orizzonte all’altro. La suprema bellezza di quella visione non era completamente perduta nel suo animo, anche se un giusto apprezzamento della Natura è qualcosa che dipende molto dalle circostanze… che al momento, pensò lui, lasciavano parecchio a desiderare.

Si domandò per l’ennesima volta quali possibilità avesse di venire salvato. Al momento parevano decisamente esili… anche se sarebbe stato giusto prendere in considerazione la parte più ottimistica. Appena un’ora prima era stato ben contento di esserne uscito vivo; invece adesso non ne era più tanto sicuro.

C’era davvero mancato poco. Appena due minuti dopo l’inizio del viaggio di rientro il computer era andato in allarme, riportando automaticamente la macchina del tempo in avaria nella normale sequenza temporale, ma solo un paio di secoli avanti l’anno da cui partiva. Era scattata una sirena talmente acuta da perforare i timpani. Seguendo il suo istinto di auto conservazione, Cameron aveva spalancato la porta della cabina ed era saltato. Atterrando sulle mani e sulle ginocchia aveva sollevato una piccola nube di sabbia. Poi era strisciato via velocemente, appena un attimo prima che le delicate forze che controllavano la macchina del tempo esplodessero in un accecante lampo di luce. Quando infine osò voltarsi, la macchina era scomparsa. Lui era sconvolto, si capisce e si lasciò goffamente cadere sulla sabbia tiepida.

E adesso?

Era vivo, sì, anche se essere bloccato in un luogo della (futura) California ancora disabitato lo apparentava al tradizionale naufrago, più di quel che volesse ammettere. Sbuffò rumorosamente, esasperato. Ma quale naufrago: anche il famosissimo Robinson Crosue in definitiva aveva avuto migliori possibilità; quel tipo non si era trovato bloccato a tre milioni di anni da casa. Sì, il viaggio era stato un successo… e al tempo stesso un disastro completo.

Cameron pensò al suo tesoro da geologo: aveva raccolto abbastanza cose per tutta una vita da ricercatore, faticosamente stivate a bordo della macchina del tempo perduta. L’unica cosa che voleva era tornarsene a casa col suo prezioso carico di sassi. Orgoglioso di ciò che aveva fatto: un lavoro ben fatto; la tecnologia avrebbe funzionato perfettamente. Una passeggiata, amico mio; via, a casa, un drink e poi a nanna. Ma che stupido.

Così si era salito a bordo per il viaggio di ritorno… che era finito duecento anni più in là, la macchina del tempo bloccata da quelle forze che lui aveva osato sfidare. Mio Dio, oh mio Dio, oh mio Dio…

I ragazzi al Caltech alla fine avrebbero raggiunto l’ovvia conclusione: lui non sarebbe mai più tornato. Avrebbero anche intuito esattamente che la macchina del tempo era andata distrutta, o comunque non era più utilizzabile. Poco per volta avrebbero forse anche capito che cosa non aveva funzionato, anche se al momento il dottor Cameron non era per niente interessato a quel che avrebbero capito. Sperava solo che non avessero già deciso che lui era morto… scacciò quel pensiero, con disprezzo. Certamente avrebbero fatto di tutto per trovarlo. O no?

All’Istituto avevano un’altra macchina del tempo, la gemella. E di certo non avrebbero voluto perdere uno come lui in missione; il che era un’idea parecchio terrificante. La storia era già abbastanza incasinata senza ulteriore aiuto dall’esterno. Se non si fosse posta molta attenzione poteva succedere chissà che; ecco il motivo per cui i viaggi erano sempre stati brevi fino a oggi, un solo uomo verso zone temporali tranquille e disabitate per minimizzare i rischi. In quel momento un bel gruppo di esperti stava probabilmente pensando in tutta fretta. Ci sarebbe voluto del tempo per mettere assieme una squadra di salvataggio. Eh, be’, sì. Anche se… gli venne in mente, che motivo c’era per la fretta? Loro sapevano che lui non si era spostato come luogo e quindi potevano star calmi. Anche se (speriamo di no) avessero deciso di prendersi un paio di generazioni di margine, in attesa che i costi dell’operazione crollassero, la cosa non avrebbe fatto alcuna differenza.

Ammesso che l’incidente non avesse già modificato la Storia in un modo da precludere ogni possibile salvataggio. L’idea non era esattamente entusiasmante, per cui Cameron preferì pensare che la squadra di salvataggio fosse al lavoro. Anche se non avrebbero mai saputo dove andarlo a cercare… anzi, quando?

Sarebbe stato naturale pensare che la ricerca dovesse cominciare nei dintorni del passato a cui lui era diretto. E come avrebbero potuto capire che quella benedetta macchina lo aveva scaricato duecento anni dopo?

In definitiva la macchina aveva fatto bene il suo dovere, nei limiti di quel che poteva prevedere la sua programmazione. I complessi computer di bordo avevano rilevato il pericolo di distruzione imminente del veicolo e avevano reagito bene, nell’unico modo previsto: far materializzare immediatamente la macchina e il passeggero nell’universo tridimensionale. Che il punto di arrivo fosse rimasto ben lontano era, dopo tutto, in incidente di minor peso in quell’emergenza così perfettamente gestita.

Peccato che, comunque, Cameron non era dell’umore per apprezzare i dettagli. Se il gruppo di salvataggio fosse arrivato dove prevedibile, lui non ci sarebbe stato, è chiaro. Cameron borbottò piano. Non era difficile immaginare un gruppo di soccorso estremamente perplesso che cercava di capire perché lui non c’era da nessuna parte… e non c’era nemmeno la macchina, oltre tutto. A quel punto probabilmente si sarebbero divisi in gruppi per esplorare in ogni settore della costa, rastrellando finemente la zona. Inutile immaginare quanto ci avrebbero impiegato prima di rinunciare alla ricerca.

Non tanto.

Ma forse qualcosa gli sfuggiva; c’era certo un particolare che aveva dimenticato. Cameron aggrottò la fronte, nel tentativo di mettere un po’ d’ordine nel caos delle idee.

Che sarebbe capitato se avessero fatto la cosa più giusta? Cioè, cercarlo in un qualsiasi momento, prima della sua partenza verso il futuro?

Fino ad allora si era considerato un punto su una strada, una presenza in un certo istante. Ma non era così; niente affatto. Era in realtà passato parecchio tempo da quando lui aveva raccolto i suoi sassi.

Be’, lui aveva trascorso quasi dodici ore nel passato. Ogni minuto, ogni secondo di quel periodo sarebbe andato benissimo. Avrebbero solo dovuto arrivare lì e impedirgli di partire per il futuro.

Che importava se arrivavano dieci minuti dopo il suo arrivo, o dieci minuti prima della partenza. Avrebbero potuto benissimo lavorare tranquilli per poi arrivare nel tempo due settimane prima del suo arrivo, o nel momento in cui lui stava ancora raccogliendo i sassi, tutto bene. Non cambiava niente. Importava solo che lui ci fosse e lo trovassero. Così avrebbero potuto salvarlo… Salvarlo addirittura prima che fosse in pericolo.

Non ci aveva pensato, ma si rese conto di quanto fosse stato stupido.

Se fosse andata così, adesso non sarebbe stato lì: ma che cretino!

Fu raggelato. Se lo avessero salvato in quel momento, o in qualsiasi altro, l’intera sequenza di eventi che portavano al presente sarebbe stata automaticamente cancellata, si capisce. Non avrebbe mai dovuto essere lì. Ma lo era, invece. Il che poteva solo significare che lui non era stato — non sarebbe mai stato — salvato. Era certo.

Adesso il sole era una sfera rossa sull’oceano; tra pochi minuti sarebbe stato buio. Il dottor Cameron si tastò ancora una volta in tasca, nell’inutile speranza di trovare qualcosa, quel che fosse, che prima non aveva considerato. Fissò demoralizzato le poche cosa che aveva posato sulla sabbia. Un notes. Un mazzo di chiavi. Una penna. Una borraccia di plastica piena a metà di acqua. un pettine. Una barretta commestibile.

Non aveva nemmeno un fiammifero. Arrivarono le prime zanzare all’attacco. Il mattino dopo era quasi congelato. Durante la lunga notte la temperatura era crollata e la camicia non era stata sufficiente. Era ottobre, pensò Cameron.

Viva l’assolata California.

La notte senza sonno lo aveva lasciato a pezzi. Con un terribile sforzo di volontà aveva fatto in modo di conservare metà barretta per colazione e un po’ d’acqua. i mormorii dello stomaco gli ricordarono però, che quelle cose non sarebbero bastate. Decise tristemente che il cibo sarebbe stato il vero problema.

O forse no… che senso aveva cercare a tutti i costi di restare vivo. In definitiva c’erano tre milioni di anni tra lui e il mondo che non avrebbe mai più rivisto.

Poi la solitudine. Per sempre. Non era mai stato uno di grande compagnia, comunque. Anche se per quasi tutta la sua vita c’era stato qualcuno con lui, una ragazza, o altri. Ma non adesso, il che forse era misericordioso. Però c’erano sempre stati degli amici. Nessun amico strettissimo… Dei conoscenti e dei colleghi. Qualcuno con cui chiacchierare, con cui bere qualcosa. La gente attorno non era così importante per lui, ma insomma! Nessun uomo è un’isola… il che resta il tormento solo di Dio.

Sedette di fronte al mare, tranquillo e indifferente. Gli tornarono in mente i ricordi della fanciullezza; una bottiglia buttata a riva dopo un uragano e la sua delusione perché non conteneva il messaggio di un naufrago.

Aveva voglia di piangere. Perché dovevano venirgli in mente ‘ste cose, da tutta la vita?

Digrignò I denti. Se fosse stato in una situazione migliore forse avrebbe potuto usare una bottiglia per chiedere aiuto. Ma adesso quella era un’idea molto stupida. Non ci sarebbe stato nessuno lì attorno per altri milioni di anni. E anche allora…

Ebbe quasi il moto di alzarsi in piedi per un’idea che gli era improvvisamente balenata in testa.

Vero, non aveva modo di mandare una bottiglia sull’oceano del Tempo verso il futuro, anche ammesso di avere una bottiglia.

Però poteva fare qualcosa di simile.

Le maree del Tempo avrebbero trasmesso verso il futuro qualsiasi messaggio che fosse in grado di sopportare le bordate dei millenni. Bisognava solo trovare il modo giusto. In altre parole, doveva trovare un metodo di marcare questo punto del tempo con un segno indelebile: un segno che avrebbe colpito i ricercatori del remoto futuro. Ma come?

D’impulso il dottor Cameron trasse il suo notes e lo fissò per un secondo, annuendo lentamente. Un messaggio. Già…

Immaginiamo che riuscisse a dettagliare le sue condizioni e seppellire il messaggio abbastanza profondamente da evitare che fosse disseppellito troppo presto. La sua borraccia sarebbe stata un ottimo contenitore.

Con un pizzico di fortuna, il messaggio poteva sopravvivere finché qualcuno non fosse stato in grado di comprenderlo. O per lo meno, passare da generazione a generazione come un misterioso problema da risolvere. Allora sarebbe arrivato qualcuno, quando i ricercatori avrebbero cercato degli obiettivi promettenti. Sì.

Arricciò il naso.

No. non andava bene. Stava solo illudendosi. Chiaro che la borraccia poteva più o meno sigillare le cose, ma ci sarebbe stata sempre dell’aria dentro… che col tempo avrebbe distrutto la fragilissima carta a partire da quando avesse serrato il tappo. In realtà la distruzione della carta era già cominciata esattamente nel momento in cui era stata fatta. Un pezzo di carta di oltre tre milioni di anni si sarebbe facilmente trasformato in un mucchietto di polvere, perché era impossibile creare il vuoto all’interno. Fine del percorso. Tamburellò con le dita sul notes che teneva sulle gambe. Benissimo, allora forse era meglio se seppelliva qualche altra cosa: una cosa talmente anacronistica da destare l’attenzione. Chiaro doveva essere una scoperta che destasse interesse, dibattiti, e infine una dettagliata ricerca. Fece scorrere velocemente nella mente tutte le possibili opzioni.

Maledizione.

Ecco che qui si presentava un vero e proprio muro. Inutile pensare ai vestiti che indossava: una camicia non dura di sicuro per milioni di anni. Il metallo si arrugginisce. Magari la plastica avrebbe resistito un po’ di più, anche se non così tanto, perché alla fine era biodegradabile. Il che, tra l’altro, metteva fuori gioco anche l’idea della borraccia; un altro chiodo nella sua bara. Si chiese come avesse fatto a non pensarci prima.

Fece una smorfia. La speranza era lenta a morire, ma ormai quel supplizio era insopportabilmente doloroso. Nessuna delle creazioni dell’uomo aveva la possibilità di superare lo spietato trascorrere del tempo. Che gli piacesse o no, era in trappola e l’unica possibilità di fuga era la morte.

Il dottor Cameron si alzò in piedi, tremante come se avesse febbre. Pensò alle sue ossa calcinate dal sole feroce, battute dal vento e dalla pioggia per secoli e secoli, sulla costa indisturbata se non per le strida dei gabbiani… quando poi essi stessi si sarebbero trasformati in sabbia. Ed ecco l’altra idea.

Già…

In definitiva c’era almeno un modo per attuare il suo progetto e si sorprese che non gli fosse venuto in mente prima. C’erano altissime probabilità; anche se quello gli pareva l’unico modo per chiedere aiuto attraverso le ere.

Almeno una cosa era impossibile non portarsi dietro, sempre… qualcosa che costituisce il segno di un uomo come membro di una specie particolare e che quasi sempre supera la durata delle creazioni umane. Se non c’erano possibilità di lasciar traccia della sua presenza, aveva sempre la possibilità di ricorrere al suo patrimonio genetico. Per attraversare ere ed ere poteva ricorrere solo all’apparente fragile prodotto di sangue e carne che costituiva la sua firma.

Per gli antropologi del lontano futuro, la scoperta dei resti di un uomo moderno in uno strato geologico sbagliato avrebbe costituito un bel problema. Sarebbero state esposte teorie su teorie finché la scoperta dei viaggi nel tempo avrebbe permesso di dare una risposta alla questione. Allora, chissà, forse Cameron poteva essere salvato: risollevandosi letteralmente dal mondo dei morti.

L’unica cosa da fare era di fornir loro un bello scheletro. Aveva tutto il tempo per pensare ai dettagli.

 

Traduzione World © Franco Giambalvo
Copertina: Edizioni Scudo

Ricardo L. Garcia
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Nato a L'Avana nel 1955 è uno degli autori che appartengono a quella che molti considerano l'età dell'oro della fantascienza nel suo paese natale, Cuba, gli anni '80. Abita nel Texas, e scrive di preferenza in inglese. Ha scritto numerosi racconti e due libri, TIME OF THE PHOENIX MAN (2013) e QUANTITATIVE FACTOR (2015).

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