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Ucronia e distopia

Ucronia e distopia

Da un po’ di tempo in qua si sente parlare e scrivere continuamente di opere distopiche: un film distopico, un’opera distopica, spesso senza che chi usa il termine sappia esattamente di cosa si tratta. Come si fa un uso sempre più massiccio, e a volte distorto, del termine ucronia e ucronico.

Sgombrando il campo dal problema più semplice, cerchiamo di definire la distopia.

Il termine significa semplicemente utopia negativa; ovvero, l’opera distopica descrive un futuro vicino o lontano (oppure un presente o persino un passato, ma qui assistiamo a una contaminazione con l’ucronia, e ne parleremo più avanti) in cui si siano verificate condizioni così negative da determinare un mondo o una società dominati da condizioni politiche e sociali oppressive e dittatoriali.

La più famosa e classica delle distopie è il romanzo Nineteen Eighty-Four (1984) di George Orwell, che scritto nel 1948 si proiettava avanti di 36 anni, invertendo le ultime due cifre della data, per immaginare una società mondiale divisa in tre unità territoriali o superstati: Oceania, Eurasia ed Estasia (con un ‘quarto mondo’ afroasiatico conteso dai tre superstati) in perenne guerra tra loro e ciascuno dominato da un diverso tipo di dittatura, la cui caratteristica comune è l’annientamento dell’individuo a vantaggio del Partito o dello Stato.

Particolarmente disturbante nell’opera di Orwell l’invenzione della neolingua, in cui i termini stessi dell’espressione verbale vengono stravolti per eliminare qualsiasi pensiero non allineato (ricordiamo il celebre slogan: GUERRA È PACE, LIBERTÀ È SCHIAVITÙ, IGNORANZA È FORZA, davvero inquietante in un’epoca come la nostra in cui l’individuo, che dispone di mezzi di conoscenza pressoché illimitati, sta diventando sempre più ignorante).

Non vanno comunque trascurate altre due distopie classiche di poco precedenti, Brave New World (Il mondo nuovo) di Aldous Huxley (1932) che si svolge nell’anno Ford 632, corrispondente al 2540 della nostra era, e Noi di Evgenji Zamjatin (1924) cui toccò il discutibile onore di essere il primo libro messo al bando dalla neonata censura sovietica.

Ben diverso, e assai più complesso il discorso sull’ucronia.

In termini semplici si tratta di una narrativa di storia alternativa. Come utopia significa “nessun luogo”, ucronia sta per “nessun tempo”, per indicare un presente (ma anche un passato, e persino un futuro) in cui gli avvenimenti (un singolo avvenimento oppure tanti o tantissimi) si sono svolti in modo diverso dalla realtà storica, determinando un mondo alternativo al nostro.

Altri termini per indicare l’ucronia: allostoria, fantastoria, storia controfattuale.

Se nella letteratura classica gli esempi più antichi di ucronia sono opere come il quarto libro degli annali di Tito Livio Ab Urbe condita (27 a.C. – 14 d.C.) in cui l’autore immagina che Alessandro il Macedone abbia sviluppato il suo regno proiettandosi verso occidente anziché verso oriente, e in tempi più recenti Napoléon et la conquête du monde di Louis Geoffroy (1836) in cui il grande Còrso vince la campagna di Russia e stabilisce un impero mondiale, oppure Storia della Toscana fino al principato di Lorenzo Pignotti (1813) in cui Lorenzo il Magnifico sopravvive oltre il 1492 e reprime addirittura la Riforma protestante.

Tra le innumerevoli opere ucroniche moderne vanno citati quanto meno The Man in the High Castle (La svastica sul sole) di P.K. Dick (1962), i cicli di Invasione e Colonizzazione di Harry Turtledove (1994-2004), Fatherland di Robert Harris (1992).

E qui il discorso si complica, perché accanto all’ucronia pura, quella che descrive un mondo alternativo che si è distaccato dal nostro in un preciso momento storico (una battaglia, una morte improvvisa) chiamato dagli specialisti POD, ovvero Point of Divergence, e procede parallelo al nostro mondo e da esso indipendente e impenetrabile, esiste l’ucronia impura, quella cioè che fa entrare in contatto i mondi paralleli, con gli sconvolgimenti che si possono immaginare, o addirittura prevede la possibilità di spostarsi avanti e indietro nel tempo per modificare gli avvenimenti.

Qui siamo, più che nel campo dell’ucronia, in quello della fantascienza pura. E si spalancano enormi abissi di possibilità.

Prendiamo, ad esempio, il mio abbastanza noto Garibaldi a Gettysburg (1993) e il seguito Ritorno a Gettysburg (2020); qui abbiamo due universi paralleli (il nostro, quello in cui Garibaldi non ha partecipato alla Guerra civile americana, e quello in cui vi ha partecipato) che si incontrano fortuitamente, con il protagonista che passa dall’uno all’altro.

Sembra un racconto ucronico, invece nel finale del primo romanzo si scopre che il secondo presente alternativo è stato creato a bella posta da un bieco  gruppo di capitalisti yankee molto conservatori che hanno creato (ovviamente con la beneamata MdT, Macchina del Tempo) le condizioni per cui la Guerra civile venisse vinta dal Sud, per ottenere oggi un mondo in cui gli Stati Uniti siano spostati su posizioni assai più isolazioniste e conservatrici rispetto alla nostra realtà attuale.

In opere come queste gli universi paralleli/divergenti, ovvero i piani temporali creati da un bivio nel tempo (come la battaglia di Gettysburg) divergono, ovvero si staccano l’uno dall’altro in quel preciso POD, ma poi procedono paralleli quanto a progressione temporale, come treni che procedono su binari paralleli alla stessa velocità.

Anche se poi le velocità potrebbero essere diverse; ed essendo paralleli, come le rette non si dovrebbero incontrare; invece nei miei e in altri romanzi scoppia l’anomalia, ovvero per i motivi più vari qualcuno passa, volontariamente o involontariamente, da un piano temporale all’altro e può confrontare le due realtà. Come avviene ad esempio anche nel romanzo che ho appena terminato, La scomparsa di Israele.

A mio avviso, comunque, sia l’ucronia pura che quella impura fanno entrambe parte, a pieno titolo, del variegato mondo della fantascienza.

Entrambe rispondono all’interrogativo ‘come sarebbe il mondo oggi se quel certo giorno i fatti si fossero svolti diversamente’; interrogativo prettamente fantascientifico.

Al più possiamo parlare di due filoni, il primo prettamente ucronico, il secondo misto.

Ma siamo sempre nel vastissimo ventre della letteratura alternativa

Pierfrancesco Prosperi
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Nato ad Arezzo nel 1945 è uno scrittore molto prolifico, che si è sempre diviso fra narrativa e fumetti. Esordisce su "Oltre il cielo" nel 1960, specializzandosi prevalentemente in sf e soprattutto nel genere ucronico. Trattò l'argomento dell'omicidio Kennedy in chiave ucronica e fantascientifica, nel romanzo "Seppelliamo re John" (1973), con racconti e con il saggio "La serie maledetta" (1980), dedicato a tutti i 4 presidenti americani assassinati.

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