TUTTE LE ISOLE DEL DOTTOR MOREAU
The Island of dr. Moreau è un romanzo scritto nel 1896 da Herbert George Wells (1866-1946), lo scrittore inglese considerato uno dei padri della letteratura fantascientifica. Racconta l’ipotetico ritrovamento del manoscritto dello scienziato dilettante Edward Pendrick in cui si narra una vicenda accadutagli molti anni prima. Naufragato nell’Oceano Pacifico, fu raccolto da una nave che trasportava un carico di animali per un’isola in cui vivevano il dr. Moreau e il suo collaboratore Montgomery. Moreau era un famigerato biologo inglese scacciato dal consesso scientifico per l’audacia dei suoi esperimenti sulla vivisezione degli animali. Entrambi guidano una strana comunità composta da esseri, detti Popolo Bestia, che in realtà sono animali di varie specie che Moreau ha modificato attraverso una serie di innesti chirurgici e genetici allo scopo di creare nuove, evolute specie viventi.
Moreau assoggetta le sue cavie imponendo loro gli strani principi di una religione di cui lui stesso è la divinità, principi ossessivamente ripetuti dal Cantore della Legge, un uomo-scimmia, grottesca guida spirituale del Popolo Bestia. Quelli che disobbediscono a tali leggi, vengono puniti con la reclusione nella Casa del Dolore, ovvero la sala operatoria di Moreau.
Pendrick è inorridito da simili pratiche oltre che dalla natura di questi esseri ma sarà testimone impotente della loro ribellione e della morte di Moreau e Montgomery. Si ritroverà, suo malgrado, capo e dio di questa popolazione, fintanto non riuscirà a fuggire dall’isola su una barca. Tornato in patria, gli orrori vissuti lo spingono a una vita ritirata ma dedicata agli studi scientifici.
Nell’Ottocento la vivisezione e, più in generale, la sperimentazione sugli animali, erano pratiche molto più seguite di oggi e molto più accettate sia dal mondo scientifico sia dall’opinione pubblica. Verso la fine del secolo, in Inghilterra, nacquero i primi movimenti contro la vivisezione. Il romanzo di Wells prende spunto da questi dibattiti e l’autore ne fa un pretesto per esprimere le sue personali considerazioni filosofiche sulla distinzione tra bestialità e umanità, che secondo il suo abituale pessimismo non è poi così marcata. Il romanzo, letto oggi, conserva comunque intatto il suo valore letterario e la sua attualità, trattando con grande modernità stilistica temi come la manipolazione genetica e la strumentalizzazione religiosa.
Uscito quasi in contemporanea alla nascita del cinema, il romanzo ha avuto almeno cinque adattamenti cinematografici, più o meno espliciti e ufficiali, e molte imitazioni più o meno camuffate, che ne hanno preso in prestito elementi come lo scienziato malvagio sull’isola deserta o la creazione di esseri metà umani e metà animali.
L’ISOLA DELLO SPAVENTO (L’île d’épouvante, 1911) di Joë Hamman
Il primo di questi cinque film è L’isola dello spavento, diretto e interpretato dal regista francese di origine belga Jean Hamman, che come regista scelse lo pseudonimo Joë Hamman. Nato nel 1883, fu tra gli spettatori dei primi film dei fratelli Lumière nel 1895, cosa che fece nascere in lui la passione per il neonato mezzo espressivo. Nel 1903 fece un viaggio in America, qui conobbe Buffalo Bill e s’innamorò del mito del West. Nel 1906, circa 60 anni prima di Sergio Leone, entrò nello staff della casa di produzione Lux per la quale diresse e interpretò il suo primo film, Cowboy, un western appunto, a cui fece seguito nel 1907 Le desperado, un altro western (entrambi girati nelle foreste vicine a Parigi). Western saranno, i primi europei della storia, quasi tutti i film che realizzerà per la Lux. Nel 1909 Hamman incontrò il marchese Folco de Baroncelli, letterato e autore di romanzi western, che gli consentì di usare le sue proprietà nella Camargue come set per i suoi film di cui sarà interprete negli anni futuri, alternandosi alla regia con l’amico Jean Durand. Nel 1911 diresse tre film in cui interpretava un cowboy di nome Arizona Bill: La piste argentée, La chevauchée infernale, L’oiseau de proie. Da attore adottò lo stesso nome del suo eroe come pseudonimo. Usò lo stesso pseudonimo anche in L’isola dello spavento, uno dei suoi pochi film non western di quel periodo. Nel 1921 Hamman fondò una sua casa di produzione e si dedicò la cinema fino al 1940, per poi passare ai fotoromanzi. Morì nel 1974.
L’isola dello spavento è andato perduto e non conosciamo i nomi degli altri attori. Le riviste di cinema dell’epoca però ci hanno tramandato alcuni fotogrammi e la trama, oltre alla sua durata (23′).
Il dr. Wagner è un medico le cui innovative pratiche curative causano la disapprovazione dell’ambiente scientifico. A un certo punto Wagner e la moglie Betsy spariscono misteriosamente dalla circolazione. Mesi dopo, un naufrago, il giornalista americano George Ramsay (Arizona Bill), approda dopo una tempesta su un’isoletta del Pacifico. Soccorso proprio da Wagner e da altri indigeni, il dottore gli spiega che si è ritirato sull’isola per condurre i suoi esperimenti sulla circolazione sanguigna. George capisce che gli esperimenti di Wagner sono orripilanti e decide di fuggire. Trova un’alleata in Betsy e i due costruiscono una zattera. Ma Wagner vuole usare anche George come cavia. Il giornalista sfugge rocambolescamente alla cattura e prende il largo con Betsy. Wagner perde l’autorità sui suoi accoliti, che si rivolteranno contro di lui incendiando il laboratorio. Wagner muore tra le fiamme e i due fuggitivi sono soccorsi da una nave di passaggio.
Questa sinossi non chiarisce in cosa consistono gli esperimenti di Wagner, quindi non è chiaro se si tratti umanizzazioni di animali come nel libro, né quindi se la corte di Wagner sia composta da animali ibridati o da esseri umani. In qualche modo, comunque, s’intuisce che Wagner assoggetti le cavie con i suoi esperimenti. L’isola dello spavento si distacca dal romanzo introducendo elementi che saranno ripresi da altri adattamenti, come quello sentimentale (nel romanzo non c’è alcuna storia d’amore e gli unici personaggi femminili sono quelli d’animale umanizzate, di secondaria importanza nella trama), e il dottore che intende usare il naufrago come cavia umana (cosa che nel romanzo non accade).
L’ISOLA DELLE ANIME PERDUTE (Island of Lost Souls, 1933) di Erle C. Kenton
L’americano Edward Parker (Richard Arlen), naufrago mentre si dirige a Samoa per sposarsi con Ruth (Leila Hyams), è raccolto da una nave che trasporta animali diretti su un’isola del Pacifico. Sul vascello Edward conosce il dr. Montgomery (Arthur Hohl) che accompagna il carico. Inviso al comandante della nave, Edward viene sbarcato sull’isola e qui conosce il dr. Moreau e gli strani nativi dall’aspetto animalesco. Conosce anche la bellissima e felina Lota (Kathleen Burke), amante di Moreau, che subito s’invaghisce di Edward e tenta di sedurlo (incoraggiata da Moreau). Il dottore rivela a Edward che gli isolani sono animali trasformati dai suoi esperimenti di vivisezione allo scopo di accelerare il loro processo evolutivo in esseri umani, indottrinati dal Cantore della Legge (Bela Lugosi). Lo scienziato propone al giovane di accoppiarsi con Lota, il suo esperimento più riuscito, per verificare le possibilità di fecondazione. Ruth raggiunge l’isola per trarre in salvo Edward ma con il suo arrivo Moreau cambia proposito, vuole Ruth come elemento umano per la fecondazione della nuova specie…
La Paramount acquistò i diritti del romanzo di H. G. Wells nel 1930. Il risultato fu uno dei migliori film di fantascienza degli anni ’30. La trama del libro è seguita abbastanza fedelmente nella prima parte del film, ma aggiunge, ancor più delle altre versioni cinematografiche, elementi sentimentali e sessuali che nella seconda parte prendono il sopravvento, innestandosi su quelli avventurosi e orrorifici, anch’essi molto marcati.
Il vero punto di forza del film è soprattutto la regia di Erle C. Kenton, di grande suggestione sotto l’aspetto visivo con un uso sapientissimo delle scenografie e dei paesaggi, con riprese fluide e ammalianti e intensi primi piani, e allo stesso tempo capace di creare una costante e palpabile tensione drammatica. Insolitamente, per l’epoca, gli esterni furono girati in un ambiente reale, l’isola californiana di Santa Catalina, che all’epoca delle riprese (novembre – dicembre 1932) fu investita da insoliti e imprevisti banchi nebbiosi che si rivelarono utili per l’espressività stilistica del film.
Questo film è il terzo film hollywoodiano di Charles Laughton, grande attore britannico che a Hollywood si sarebbe specializzato in parti di cattivo. Qui lascia il segno interpretando con suadente e controllato istrionismo una figura lontana tanto dal Moreau letterario quanto dal cliché dello scienziato pazzo. Moreau, infatti, è sempre lucido e calcolatore nella sua efferatezza e nella manipolazione degli individui, umani o animali che siano. Nel film maneggia una frusta personalmente e con grande abilità: un’arte che Laughton esibisce senza trucchi né controfigure, avendola appresa all’inizio della sua carriera teatrale.
Il trucco facciale degli Uomini-Bestia è riuscitissimo e contribuisce non poco alla riuscita del film e al suo tono minaccioso e inquietante. I suoi artefici furono Charles Gemora e Wally Westmore. Bela Lugosi appare irriconoscibile sotto il trucco scimmiesco del Cantore, figura qui secondaria rispetto al romanzo, tranne che nel finale. Reso famoso dal ruolo del conte vampiro in Dracula (1931) di Tod Browning, e impegnatissimo in quegli anni in molti titoli horror di serie A e B, Lugosi accettò qui un ruolo sacrificato per soli 800 dollari, la paga standard per un comprimario all’epoca. Ciò perché nonostante la celebrità aveva già dilapidato in poco tempo le fortune guadagnate e si trovava costretto ad accettare qualunque ruolo e compenso: una condizione che lo avrebbe accompagnato per il resto della sua vita.
Kathleen Burke, una modella che ottenne la parte dopo aver vinto un concorso nazionale bandito dalla Paramount al quale parteciparono 60.000 concorrenti, interpretata Lota, la Donna Pantera. Per lei fu l’inizio di una carriera cinematografica che durò solo fino al 1938, quando Kathleen si ritirò dalle scene.
Co-autore della sceneggiatura è Philip Wylie, uno scrittore americano di SF, oggi dimenticato ma famosissimo negli anni Trenta e Quaranta, autore tra l’altro del romanzo The Invisible Murder, un’imitazione di un altro celebre lavoro di H.G. Wells: The Invisible Man.
TERROR IS A MAN (1958) di Gerardo De Leon
William Fitzgerald (Richard Derr) è un naufrago che giunge con la sua scialuppa a Blood Island, un’isola dell’arcipelago filippino. Lo soccorre il dr. Charles Girard (Francis Lederer), uno scienziato che vive sull’isola in una tenuta insieme alla moglie Frances (Greta Thyssen), all’assistente Pereira (Oscar Keesee) e a due domestici, i fratelli Selene (Lilia Duran) e Tiago (Peyton Keesee). Sull’isola una ragazza viene uccisa e Girard rivela a William che il responsabile è il frutto dei suoi esperimenti: una pantera che lui progressivamente sta trasformando in uomo per mezzo di una serie di innesti chirurgici e biologici. L’essere, che doveva essere il prototipo di un essere umano migliore, conserva ancora i suoi istinti predatori e per questo, dopo essere fuggito, ha compiuto l’omicidio. L’uomo-pantera (Flory Carlos) è ricatturato e gli esperimenti continuano con la collaborazione di William, che si innamora di Frances e le promette che la porterà lontano da suo marito e dall’isola. Ma l’uomo-pantera è sempre più difficile da controllare…
Terror Is a Man diede il via a una serie di coproduzioni tra le Filippine e alcuni produttori americani di serie B, film destinati al mercato asiatico come pure al circuito dei drive-in statunitensi. Iniziatore ne fu il regista e produttore filippino Eddie Romero, che con questo film legò la sua casa di distribuzione, la Hemispehere, al distributore americano Kane W. Lynn. Il primo film di questa serie è un libero adattamento del romanzo di H.G. Wells, che porta al testo originale una serie di modifiche legate al ristretto budget. Per cominciare Lederer pratica un solo esperimento, su un solo soggetto. Non a caso di lui vediamo nella prima parte solo le soggettive e il primo piano degli occhi e nella seconda appare quasi completamente coperto da bende, tranne il viso felino e le zampe artigliate. Come in L’isola dello spavento, l’aspetto sentimentale è dato dalla relazione che nasce tra il naufrago e la moglie dello scienziato, anche in questo caso incapace di sopportare la vita sull’isola. A essa si aggiunge, come nel film del 1933, un tema erotico-zoofilo: l’uomo-leopardo prova un indubbio desiderio per Frances (in una scena la spia mentre lei si masturba) e per le ragazze dell’isola e lo sublima uccidendole. Un’altra innovazione è la collaborazione che nasce fra il dottore e il naufrago, e in fondo, fra tutte le incarnazioni cine-letterarie di Moreau, Lederer è quello meno spietato, anzi tutto sommato prova comprensione per il suo uomo-leopardo, e cerca di ridurre al minimo le sue sofferenze, giustificando i suoi omicidi, che in fondo fanno parte della sua natura animale che si propone di cancellare col tempo.
Gerardo De Leon (pseudonimo di Gerardo Ilelan, 1913-1981) è un regista che all’epoca aveva 20 anni di carriera alle spalle. Senza dubbio mostra gran mestiere e più volte imbastisce scene ricche di atmosfera e suspense. Purtroppo non può fare più di tanto con una sceneggiatura decisamente statica e lenta, dai dialoghi troppo lunghi e dai troppi tempi morti, la cui trama solo verso la fine acquista una certa vivacità e consistenza.
De Leon era un medico quando decise di dedicarsi al cinema, prima come attore e poi come regista, fondando alla fine degli anni Trenta il Gruppo Ilelan, composto da vari altri cineasti filippini. Durante la Seconda Guerra Mondiale e l’occupazione giapponese delle Filippine, DeLeon collaborò con il produttore e regista nipponico Abu Yutaka a una serie di film di propaganda anti-americana. La cosa gli costò una condanna a morte per collaborazionismo dopo la guerra ma fu graziato in extremis grazie alla testimonianza di alcuni partigiani che rivelarono che De Leon aveva agito come spia doppiogiochista per la Resistenza. Dopo la guerra, De Leon praticò vari generi, dal bellico, al romantico, allo storico, con lavori sempre radicati nella cultura filippina. Terror Is a Man fu girato in interni ai Premier Studios di Manila e in esterni all’isola di Corregidor. È il primo film girato da De Leon per la Hemisphere, ed è anche il suo primo esempio di fanta-horror, genere che poi bazzicò con due film di vampiri: Kulay dugo ang gabi (1964) e Il terrore ha la pelle di donna (Ibulong mo sa hangin, 1966). Ancora per la Hemisphere, De Leon realizzò il film bellico Ora X: commandos invisibili (Intramuros, 1964), considerato il suo film migliore, e riprese l’ambientazione di Blood Island per altri film incentrati su scienziati pazzi e mutazioni genetiche: Terrore sul’isola dell’amore (Brides of Blood, 1968) e Mad Doctor of Blood Island (1968). Questi ultimi due film col tempo hanno guadagnato lo status di trash-cult e al riguardo il produttore Eddie Romero affermò in un’intervista del 2006:
“Io e il mio vecchio amico Gerry De Leon non ne avevamo una grande opinione, pensavamo che fossero le cose peggiori che avessimo mai fatto (…) Eppure ricevo lettere da tutto il mondo da oltre 30 anni per quei film. Con mio costante stupore!”
L’ISOLA DEL DR. MOREAU (The Island of Dr. Moreau, 1977) di Don Taylor
Andrew Braddock (Michael York) è l’unico superstite del naufragio della nave Lady Vain. Con la sua scialuppa arriva su un’isola del Pacifico dove vivono Moreau (Burt Lancaster) e Montgomery (Nigel Davenport), biologi scacciati dall’Inghilterra per i loro esperimenti. Con loro vivono la bellissima Maria (Barbara Carrera), una ex-schiava creola affrancata da Moreau, e il servo muto M’Ling (Nick Cravat). Sull’isola vivono anche strane creature dall’aspetto umanoide. Ben presto Andrew si innamora di Maria, e scopre che Moreau cerca di umanizzare gli animali iniettando loro un siero contenente materiale genetico umano. Le Leggi enunciate dal Cantore (Richard Baseheart) e la minaccia della Casa del Dolore sono strumenti efficaci per controllare il Popolo Bestia, ma quando Braddock uccide un uomo-toro per risparmiargli la punizione, le creature pretendono che anche lui sia punito. Moreau, per mantenere il controllo, inietta a Braddock un siero con materiale genetico scimmiesco, iniziando in lui un processo di animalizzazione…
Nella seconda metà degli anni Settanta, Samuel Z. Arkoff e James H. Nicholson, titolari della gloriosa casa di produzione American International Pictures (AIP), specializzata in film di serie B, decisero di tentare il grande salto nella serie A. Di produrre, cioè, film dotati di costi, contenuti e cast più prestigiosi di quanto fossero abituati e di entrare così nel consesso delle major, la grandi case di produzione hollywoodiane come la MGM o la Universal. Il loro primo tentativo in questo senso fu proprio L’isola del dr. Moreau. Il film, infatti, include nel cast una gloria hollywoodiana come Burt Lancaster, un attore inglese allora sulla cresta dell’onda, Michael York, e due validi caratteristi come Nigel Davenport e Richard Baseheart, noto in Italia per aver interpretato due film di Federico Fellini (La strada e Il bidone) qui quasi irriconoscibile sotto il trucco del Cantore. L’immancabile presenza romantica è data da Barbara Carrera, ex-fotomodella di padre americano e madre nicaraguense, che dopo varie particine ebbe il suo primo ruolo da protagonista nel fantascientifico Embryo (1976) di Ralph Nelson, e che con L’isola del dr. Moreau ebbe la sua prima importante affermazione. Il suo ruolo più famoso è quello di Bond-girl cattiva in Mai dire mai (Never Say Never Again, 1983) di Irvin Kershner, che segnò il ritorno di Sean Connery nel ruolo dell’Agente 007 James Bond. Dal 2004 ha lasciato la recitazione per dedicarsi alla pittura.
Questo film è l’unico adattamento del romanzo di Wells che mantiene l’epoca in cui esso è scritto e ambientato, la fine dell’Ottocento. Tra le immancabili licenze rispetto al romanzo , il più rilevante è il metodo di Moreau, non più operazioni chirurgiche ma l’iniezione di un siero genetico, il che fa pensare che Moreau sia addirittura lo scopritore del DNA! Ciononostante, Burt Lancaster è forse il cine-Moreau più vicino al personaggio originale, a partire dall’aspetto fisico. Lancaster lo interpreta come uno scienziato talmente preso dal suo lavoro da perdere ogni freno morale, ma tutto sommato spinto da intenti sinceramente scientifici, non da sadismo o megalomania, anche se, come nel libro, il ruolo di divinità lo lusinga un po’. Nel complesso il film è un’opera più che dignitosa, con una buona resa spettacolare e professionale e degli ottimi trucchi prostetici, realizzati da John Chambers e Tom Burman, candidati all’Oscar.
Il finale presenta una certa ambiguità. Il personaggio di Maria mostra fin da subito una dose di ingenuità tale da far pensare che sia un esperimento di Moreau particolarmente ben riuscito, un po’ come Lota in L’isola delle anime perdute. Nel finale, Andrew e Maria lasciano l’isola e, provati da giorni di navigazione, vengono avvistati da una nave di passaggio. Come nel romanzo, il processo iniziato da Moreau è reversibile e Andrew constata con gioia che sta riprendendo il suo aspetto umano. Maria riceve la notizia con aria affranta in un fuggevole primo piano. Solo se si fissa il fotogramma si riesce a vedere che Maria ha gli occhi gialli e delle sottili zanne al posto dei denti: segno inequivocabile che è una donna-felina in fase di trasformazione. Furono scritti quattro finali diversi, fra cui uno in cui Maria, incinta, partorisce un piccolo felino, e Arkoff decise per quest’ultimo. Il regista Don Taylor e Michael York però si opposero fermamente, e fu girato un finale in cui Maria riprende il suo stato felino. All’ultimo momento la produzione decise di lasciare solo quell’ambiguo primo piano, dando all’epilogo il tono più lieto possibile. In compenso l’adattamento a fumetti del film, pubblicato dalla Marvel Comics, mantiene il finale originale.
L’isola del dr. Moreau fu girato a cavallo fra il 1976 e il 1977 all’isola di Saint Croix, nelle Isole Vergini statunitensi.
L’ISOLA PERDUTA (The Island of Dr. Moreau, 1996) di John Frankenheimer
Nel 2010 Andrew Douglas (David Thewlis), un negoziatore inglese dell’ONU, sopravvive allo schianto del suo aereo nel mare di Giava. Raccolto da una nave mercantile, incontra Montgomery (Val Kilmer) che lo accompagna sull’isola del dr. Moreau (Marlon Brando), che stavolta innesta DNA umano su cavie animali per portarli allo stadio umano. Oltre alle solite Leggi, Moreau si presenta ai suoi sudditi-cavie, che chiama figli, come un santone religioso e punisce le mancanze con un telecomando che instilla spasmi dolorosi agli ibridi tramite un microchip innestato sottopelle. Con lo scienziato c’è uno stuolo di servitori ibridi e una ragazza dall’aspetto del tutto umano e dalle movenze feline, Aissa (Fairuza Balk), che lui presenta a Andrew come sua figlia biologica e della quale il giovane si innamora. Andrew, sempre più disgustato dalle pratiche di Moreau, progetta la fuga con Aissa, ma la iena-suino (Daniel Rigney) scopre il microchip e se lo leva. La ribellione comincia…
L’isola perduta è un film famoso più che per la sua qualità o il suo successo (scarsi entrambi, in realtà), per i retroscena burrascosi che caratterizzarono la sua produzione.
Il regista sudafricano Richard Stanley, dopo una gavetta fatta di film amatoriali in super8, videoclip musicali e documentari, girò due lungometraggi che ebbero un ottimo riscontro soprattutto fra gli appassionati del cinema fanta-horror: Hardware – Metallo letale (Hardware, 1990) e Demoniaca (Dust Devil, 1992). Quindi, coadiuvato dagli sceneggiatori Michael Herr e Walon Green, Stanley lavorò per quattro anni a una sceneggiatura ispirata al romanzo The Island of dr. Moreau di H.G. Wells. Il suo intento era un film che rispettasse lo spirito e la costruzione narrativa del libro ma che allo stesso tempo ne aggiornasse le tematiche alla luce della scienza moderna, in un contesto politico e sociale attuale, anzi futuribile, dal momento che l’azione nel suo copione è spostata in un futuro prossimo, il 2005, in un mondo tormentato da guerre locali. Memore delle edizioni cinematografiche precedenti, Stanley aggiunse nel suo copione il tema sentimental-zoofilo, rendendolo stavolta esplicito, non più solo latente. Nella sua versione, infatti, Andrew (che mantiene il cognome Pendrick del libro, ma è americano), benché sia consapevole che Aissa sia un ibrido animale, ha ugualmente un rapporto sessuale completo con lei, sperando di trovare un metodo per stabilizzare la sua forma umana.
Le diatribe intorno alla lavorazione sono talmente complesse che hanno ispirato un documentario: Lost Soul (2014) di David Gregory, in cui Stanley e altre persone implicate rievocano questi episodi.
Il copione di Stanley fu approvato dalla casa di produzione New Line Cinema, che impose al regista Marlon Brando nel ruolo di Moreau. Ciononostante, Stanley e Brando andarono subito d’accordo sia sul piano artistico che umano. Dopo la defezione di Bruce Willis e James Woods, voluti dal regista nei ruoli di Montgomery e Andrew, i due furono rimpiazzati rispettivamente da Val Kilmer e Rob Morrow. Stanley non fece fatica invece ad assumere il veterano Stan Winston per i trucchi e gli effetti speciali.
Il set fu allestito nelle foreste del North Queensland, in Australia. La lavorazione iniziò a metà aprile 1995 ma fu subito funestata da una tragedia: il suicidio di Cheyenne, la figlia di Marlon Brando. La star quindi non fu presente sul set in quei giorni, e a ciò si aggiunse che Val Kilmer seppe della richiesta di divorzio di sua moglie Johanne Whalley. Questo causò una rabbia che l’attore sfogò contro la troupe, con atteggiamenti provocatori e offensivi. Stanley riuscì a mantenere buoni rapporti con la troupe australiana e con l’équipe di Winston ma non con i rappresentanti della New Line, la cui presenza era palesemente mal sopportata dal regista. Questo fu quasi certamente la causa del suo improvviso licenziamento dopo solo quattro giorni di lavoro. Stanley, avuta la notizia, tornò furibondo in albergo a Cairns e passò la giornata a distruggere tutti i suoi appunti e documenti relativi al film: una specie di avvelenamento dei pozzi in segno di rappresaglia. L’interprete di Aissa, Fairuza Balk, all’epoca fidanzata del regista, fece una scenata ai rappresentanti New Line e corse a Sidney decisa a lasciare il film. Ritornò sui suoi passi con la minaccia che altrimenti i produttori del film le avrebbero semplicemente stroncato la carriera. Anche Rob Morrow lasciò il film per solidarietà a Stanley e fu sostituito da David Thewlis.
Come rimpiazzo fu scelto il veterano John Frankenheimer, il quale probabilmente non aveva grande interesse per il progetto. Accettò per poter lavorare con Brando e, soprattutto, perché vide l’occasione di rientrare nell’industria cinematografica dopo che il disastroso esito del suo ultimo film, L’anno del terrore (Year of the Gun, 1991), lo aveva costretto a ripiegare sulla televisione. Strappò, infatti, alla New Line l’impegno di produrre altri due film diretti da lui.
Frankenheimer affidò la riscrittura del copione di Stanley a un suo sceneggiatore di fiducia, Ron Hutchinson, il quale portò pesanti modifiche, che riportarono il film lontano dal romanzo, oltre che dal progetto originale. Hutchinson sostituì la Casa del Dolore con la trovata del microchip telecomandato, rese la relazione fra Andrew e la donna-felina ancora una volta platonica, e diede alla rivolta finale un tono truculento con smembramenti e mutilazioni. Lo sceneggiatore scriveva giorno per giorno le sue pagine, consegnandole di volta in volta agli attori e al regista. Brando e Kilmer non mostrarono molta disciplina professionale, presentandosi sul set a loro piacimento, e nel caso di Kilmer, litigando spesso anche con il nuovo regista. Frankenheimer non seppe mantenere buoni rapporti nemmeno con la troupe australiana, criticandola di continuo. Brando e Kilmer, inoltre, non sempre avevano studiato la parte e improvvisavano i loro dialoghi. Fu di Brando, ad esempio, l’idea di fare di Moreau una specie di grottesca parodia del Papa nei suoi momenti religiosi.
Stanley non sparì dalla circolazione. Per poter frequentare Fairuza sul set, chiese alla squadra di Winston di truccarlo da uomo-cane e così poter lavorare al film di nascosto,come comparsa. In questo modo Stanley partecipò persino al party di fine riprese!
I cambi di regista, di cast, le riscritture e le liti allungarono la durata delle riprese dalle previste sei settimane a sei mesi. Il risultato finale fu un film confuso, dal sapore più grottesco che orrorifico o avventuroso, dove gli elementi psicologici, filosofici e religiosi del romanzo e che Stanley aveva cercato di mantenere risultano abbozzati casualmente. La stessa regia di Frankenheimer, indubbiamente professionale e spettacolare, sembra preoccupata più di costruire scene più o meno bizzarre che una storia coerente. L’uso insistito di inquadrature sghembe, un suo marchio di fabbrica, risulta artificioso, molto meno espressivo e motivato che in altri suoi film (v. Va’ e uccidi).
Tutte le vicende legate intorno al film rovinarono la reputazione di Richard Stanley, che ritornò ai videoclip e ai documentari per oltre 20 anni. Solo recentemente è riuscito a tornare al cinema narrativo. Mentre scriviamo è in lavorazione il suo film Color Out of Space, tratto dal racconto di H. P. Lovecraft.
Frankenheimer invece riuscì a giocare bene le sue carte e tornare con successo al cinema. Nonostante il fiasco commerciale del film, diresse due fortunati thriller d’azione, prima della sua morte nel 2002: Ronin (1999) con Robert De Niro, e Trappola criminale (Reindeer Games, 2000) con Ben Affleck.
In L’isola perduta si nota la presenza del dominicano Nelson de la Rosa (1968-2006) che interpreta Majai, un uomo-topo che Moreau considera una specie di alter-ego in miniatura di se stesso e che ne imita i comportamenti. Resta nella memoria la scena in cui Moreau e Majai suonano in duetto due pianoforti differenti, quello di Majai minuscolo. Affetto da una sindrome che lo rese alto solo 71 cm, Nelson esordì al cinema in Quella villa in fondo al parco (1988) di Giuliano Carmineo, un horror italiano di serie Z girato nella Repubblica Dominicana, in cui interpreta proprio un feroce uomo-topo frutto di un esperimento genetico (e Ratman fu il titolo per l’estero del film). Il suo film successivo fu ancora di produzione italiana, l’action-movie Fuoco incrociato (1988) di Alfonso Brescia. Negli anni Novanta Nelson divenne una star della tv latinoamericana, con vari show in Venezuela, Argentina, Messico, Puerto Rico, lavorando anche in alcuni circhi. L’isola perduta fu il suo terzo e ultimo film. Appassionato di baseball, fu scelto come mascotte della squadra americana dei Boston Red Sox nel 2004.
Questo articolo è stato tratto dal libro di Giovanni Mongini e Mario Luca Moretti,
Reboot & Remake di prossima pubblicazione
Mario Luca Moretti
Altri interessi oltre al cinema e alla letteratura SF, sono il cinema e la la letteratura tout-court, la musica e la storia. È laureato in Lingue (inglese e tedesco) e lavora presso l'aeroporto di Linate. Abita in provincia di Milano
Ottimo lavoro di ricerca e commento puntuale e di qualità, grazie Mario!