“TURKEY SHOOT” DI BRIAN TRENCHARD-SMITH (1982)
Australia, 1995. La nazione è soggiogata da un regime totalitario (non meglio specificato) i cui dissidenti (definiti “deviati”) vengono rinchiusi in campi di prigionia in mezzo alla foresta. In uno di questi, il Campo 47, finiscono Paul (Steve Railsback), Chris (Olivia Hussey) e Rita (Lynda Stoner). Diretto da Charles Thatcher (Michael Craig), il campo è retto con assoluto sadismo dal capo delle guardie Ritter (Roger Ward). Ogni anno Thatcher invita una ristretta cerchia di amici per il Turkey Shoot: cinque prigionieri vengono scelti e nel giro di 12 ore hanno la possibilità di uscire dai confini del campo e trovare la libertà, purché riescano a sfuggire alla caccia di Thatcher e dei suoi amici. Le prede scelte stavolta sono Paul, Chris, Rita e altri due prigionieri difficili da domare: Griffin (Bill Young) e Dodge (John Ley), e saranno inseguiti da Thatcher, da Mallory (Noel Ferrier), direttore dle programma “riabilitativo” del governo, e dai feroci Jennifer (Carmen Duncan) e Tito (Michael Petrovitch), quest’ultimo assistito da Alph (Steve Rackman), un cavernicolo cannibale. Per sopravvivere i cinque fuggiaschi dovranno imparare a superare i loro aguzzini in spietatezza…
Anthony I. Ginnane è un produttore australiano che iniziò la sua attività a metà degli anni Settanta, dando il via al cosiddetto fenomeno della Ozploitation, ovvero film commerciali di produzione australiana.
Le pellicole si basano sui tradizionali generi hollywoodiani (soprattutto l’horror e il thriller), reinterpretati in ambienti locali, ma mirando comunque al mercato internazionale, senza le pretese artistiche di registi come Peter Weir o Bruce Beresford, pure famosi nel mondo.
Il film di Ginnane più famoso a livello internazionale è senz’altro Patrick (1978), un thriller parapsicologico che ebbe fortuna anche in Italia. Turkey Shoot, prodotto da Ginnane, è un curioso ibrido, figlio di molte influenze, confluite attraverso una serie di sfortunate vicissitudini produttive.
Il copione originale, scritto da Neil Hicks e Jon George, era ambientato in un campo di lavori forzati nel profondo Sud americano, durante la Grande Depressione. Ma la cinematografia australiana all’epoca si basava molto sui finanziamenti statali e sui benefici fiscali, questi ultimi riservati a film ambientati sul suolo nazionale. Il regista Brian Trenchard-Smith convinse allora sceneggiatori e produttori a riscrivere il copione, inventandosi un’ambientazione futuristica per giustificare anche quella australiana.
Trenchard-Smith inserì alcuni riferimenti alla politica contemporanea, come il nome del direttore del campo: Thatcher come il primo ministro inglese Margaret Thatcher, eletta nel 1979, che aveva già avviato la sua politica contro il welfare statale e l’influenza dei sindacati, misure che si temeva avrebbero influenzato la politica australiana.
Come suo solito, Ginnane coinvolse attori americani e inglesi per facilitare le vendite negli Usa e in Europa. L’americano Steve Railsback aveva appena ottenuto un discreto successo con Professione: pericolo (The Stuntman, 1980) di Richard Rush, mentre l’inglese Olivia Hussey era famosa grazie ai film di Franco Zeffirelli Romeo e Giulietta (1968) e Gesù di Nazareth (1977). In realtà la Hussey fu scelta anche perché era la moglie della pop-star giapponese Akira Fuse, e Ginnane riteneva che il suo nome sarebbe stato di richiamo anche nei mercati asiatici.
In seguito, però, un co-finanziatore privato ritirò il suo appoggio al film, e Ginnane si trovò con un budget inferiore al previsto di 500.000 dollari australiani, che per gli standard australiano dell’epoca erano una bella somma. Trenchard-Smith fu così costretto a tagliare il copione, eliminando tra l’altro gran parte del prologo che prevedeva scene di massa e un inseguimento con l’elicottero durante la caccia. Più in generale, dovette rinunciare a scene spettacolari con veicoli futuristici.
Il periodo di riprese fu ridotto da 44 a 28 giorni, e le comparse previste da 500 furono ridotte a 75. Il regista decise allora decise di evitare qualunque serio discorso politico e di puntare su una spettacolarità più grossolana: “il sangue costa poco“, fu il suo motto. Così si affidò a scene violente decisamente eccessive, a base di torture, mutilazioni, morti efferate.
Il regista fu influenzato in questo anche dal sorprendente successo che i truculentissimi horror italiani del periodo stavano avendo in giro per il mondo: titoli come Zombi 2 (1979) di Lucio Fulci e Mangiati vivi! (1980) di Umberto Lenzi divennero fonti d’ispirazione.
Turkey Shoot fu girato nel Queensland settentrionale, nella foresta di Cairns, una location non priva di disagi logistici, esasperati dal budget risicato. Un esempio delle ristrettezze è dato dai macchinari usati nella caccia dagli inseguitori: veicoli agricoli, affittati sul posto e usati in maniera inventiva e ironica come strumenti di morte.
Nel cast, chi soffrì particolarmente delle difficoltà ambientali fu Olivia Hussey, che sviluppò una fobia irrazionale verso la flora e la fauna locali, manifestando costantemente il suo malessere. Tra l’altro, sia lei che Lynda Stoner rifiutarono di girare scene di nudo, toccando il ridicolo facendo la doccia e il bagno vestite ed esacerbando i rapporti con il regista.
Steve Railsback era un fedele seguace del metodo Actor’s Studio, quindi voleva provare in prima persona le esperienze del suo personaggio; per questo motivo, in una scena in cui durante un interrogatorio deve sostenere una piattaforma che viene sempre più caricata di pesi, Railsback volle che l’aggiunta dei pesi fosse reale, ma come ricorda l’attore Michael Craig:
“Il risultato fu che la sua energia fisica e mentale era concentrata sull’evitare di essere spappolato. Comprensibile, ma così dimenticava le battute o era incapace di dirle. Alla fine arrivammo a un compromesso – i pesi furono ridotti, Steve rispose alle domande, e noi passammo alla scena successiva. Alla faccia del metodo!”
Altri problemi furono dati dalla presenza di David Hemmings. L’attore inglese, famoso anche in Italia per Blow-up (1966) di Michelangelo Antonioni e Profondo rosso (1975) di Dario Argento, si era trasferito da alcuni anni in Australia, ed era entrato in società con Anthony I. Ginnane, partecipando prima come attore, poi come regista e co-produttore ad alcuni film del produttore. In Turkey Shoot figura come produttore esecutivo, ma in realtà fu anche regista della seconda unità, lavoro che svolse con scarsa considerazione della regia principale, a quanto racconta Trenchard-Smith:
“Avemmo un rapporto difficile perché anche lui era un regista. Non badò molto a me. Sapeva che una clausola contrattuale faceva sì che io aspettassi dietro le quinte di prendere il controllo di un precedente film che Hemmings stava dirigendo, se avesse continuato a rimanere in ritardo sulle riprese. Aveva una relazione burrascosa con un membro del cast. Quando mi prese in giro di fronte a mia moglie e a mio figlio appena nato, una volta nell’ufficio della produzione, gli versai della birra in testa. Dopo è stato un po’ più attento con me.”
La maggior parte degli effetti speciali riguarda le raccapriccianti morti che incontrano i vari membri del cast lungo il film. I trucchi sono affidati a tradizionali effetti prostetici e manichini. Con occhi moderni risultano un po’ goffi, e il regista ricorda così la morte dei Alph, tagliato in due:
“Uno dei miei ricordi più esilaranti è stato il giorno in cui abbiamo tagliato Steve Rackman a metà al livello della cintura dei pantaloni con un bulldozer. (…) Volevo un’inquadratura della sua metà inferiore, inginocchiato e intrappolato contro un albero, che si contorceva sotto la lama del bulldozer. (Vero, io sono un bambino sadico.) Abbiamo avuto i pantaloni sospesi con dei fili, ma eravamo rimasti molto a corto di protesi. Avevamo mangiato salsicce e bistecche per pranzo; c’erano degli avanzi crudi e un sacco di ketchup. Tutti si sono dati da fare per riempire i Pantaloni Vaganti con un insieme convincente di interiora e di schizzi di salsa al pomodoro. Le cose che facciamo per la nostra arte.”
Turkey Shoot suscitò recensioni negative in patria, da critici indignati per la bassa macelleria esibita nel film. Ciononostante, o forse proprio per questo, fu un successo in Australia e fu venduto in una cinquantina di nazioni (non in Italia, però, dove è tuttora inedito).
Fra gli estimatori del film c’è Quentin Tarantino, che alla prima australiana di Kill Bill – Vol. 1 (2003), dichiarò che Turkey Shoot è uno dei suoi film preferiti (“uno dei suoi mille film preferiti”, commentò ironicamente lo stesso Brian Trenchard-Smith).
Brian Trenchard-Smith non è quello che si dice un grande regista e qui non mostra un buon mestiere e un competente senso del ritmo e del montaggio. Piuttosto un grossolano senso dello humor nero. Eppure è un cineasta che, nella sua lunga e prolifica carriera nel cinema di genere, ha lasciato il segno nel cinema australiano. Nato in Inghilterra nel 1946, si trasferì in Australia nel 1965, e cominciò a lavorare come documentarista per la TV. Nel 1973 si recò a Hong Kong per girare un documentario su Bruce Lee, star mondiale del cinema di arti marziali, ma arrivò proprio il giorno della sua morte. Girò così un documentario tributo, dal titolo Kung Fu Killers.
Grazie a quel documentario, Trenchard-Smith ottenne dei contatti con il cinema di Hong Kong che gli permisero di produrre e dirigere il suo primo film narrativo: Il drago di Hong Kong (The Man from Hong Kong, 1975). Si tratta di una coproduzione fra Australia e Hong Kong, interpretata da Jimmy Wang Yu, star del cinema d’arti marziali mandarino, e l’ex-007 George Lazenby; a conti fatti è un modesto film d’azione, ma riveste una sua importanza perché è in pratica il primo film australiano a essere stato venduto in tutto il mondo. Tra l’altro, è in assoluto il primo film australiano a essere distribuito in Italia. Coordinatore degli stuntmen è Grant Page, che diventa protagonista a tutti gli effetti dei due seguenti film del regista: Deathcatchers (1976) e Stunt Rock (1978).
Dopo Turkey Shoot, forse per farsi perdonare i suoi eccessi, dirige un innocuo film per ragazzi, La banda della BMX (The BMX Bandits, 1983), incentrato sulle avventure di tre giovani appassionati di bici-cross; star femminile del film un’esordiente sedicenne dalla leonina chioma rossa e dalla grande presenza scenica: Nicole Kidman. In seguito dirige quelli che sono forse i suoi due film migliori: Il mistero del lago oscuro (Frog Dreaming, 1985) e Drive In 2000 (Dead-End Drive-In, 1986).
Il primo è ancora un film per ragazzi, interpretato da Henry Thomas, il protagonista di E.T. l’extraterrestre (E.T. the Extraterrestrial, 1982), e resta impresso per la sua atmosfera tesa e onirica. Il secondo è ambientato in un futuro dove i drive-in sono usati come campi di prigionia per i giovani reietti della società, che a loro volta, lasciati a se stessi, li trasformano in comunità punk, alternative e violente.
Nel 1989 Trenchard-Smith dirige Attacco alla base militare Gloria (The Siege of Firebase Gloria), uno dei pochi film australiani sulla guerra del Vietnam, che si segnala per l’interpretazione di R. Lee Emery, l’indimenticabile sergente istruttore di Full Metal Jacket (1987), che, secondo una rivelazione fatta anni dopo dal regista, sarebbe anche il vero sceneggiatore del film.
Negli anni Novanta Trenchard-Smith si trasferisce in America, dove dirige episodi di vari serie TV e film destinati al mercato home-video. Tornato in Australia negli anni Duemila, continua senza infamia e senza lode una carriera fatta prevalentemente di imitazioni di film di successo americani. La sua ultima fatica è Drive Hard (2014), un action movie con protagonista John Cusack.
Mario Luca Moretti
Altri interessi oltre al cinema e alla letteratura SF, sono il cinema e la la letteratura tout-court, la musica e la storia. È laureato in Lingue (inglese e tedesco) e lavora presso l'aeroporto di Linate. Abita in provincia di Milano