Rosso bianco e tristemente verde
Fatti e Misfatti del cinema fantascientifico in Italia
È stato detto, a torto o a ragione, che i tre colori della bandiera italiana rispecchiano i problemi della sua cinematografia. Su quanto verrà detto si potrà essere d’accordo o meno ma è indubbio che si tratta quantomeno di una originale e forse anche curiosa ipotesi mai presentata prima.
Mostriamo dunque i vari aspetti di questa affermazione partendo dal colore rosso il quale indicherebbe la violenza efferata spesso gratuita ed inutile che ha pervaso in tempi però ormai passati la cinematografia italiana a fronte di quella straniera: in effetti, le varie pellicole del primo Dario Argento, di Lucio Fulci e di Aristide Massaccesi, solo per citare alcuni esempi ai quali si potrebbe aggiungere una parte della cinematografia western, sembrerebbero dare ragione a questa affermazione.
Il bianco indicherebbe invece la nullità, l’incapacità di recitare della maggior parte dei cosiddetti attori italiani e l’incapacità anche della maggior parte degli stessi registi, montatori, soggettisti, sceneggiatori e degli addetti agli effetti speciali di mettere in cantiere un prodotto che possa reggere il confronto con quello straniero: cioè un prodotto ben fatto, ben montato, con una trama interessante e dotata, là dove è il caso, di effetti speciali almeno decorosi.
Il verde, è abbastanza ovvio, indicherebbe la totale incapacità e volontà da parte dei produttori nostrani di realizzare un film spendendo quanto deve essere necessario senza inutili e poco pratiche, se non addirittura deleterie, tirchierie, risparmiando il più possibile a solo ed unico vantaggio delle proprie tasche.
Tutto quanto detto è diventato con il tempo sempre meno vero perché dai trent’anni trascorsi da questa dichiarazione possiamo dire di avere almeno qualche attore capace di reggere il confronto anche con un qualunque caratterista medio americano e alcuni registi hanno saputo usare una mano felice per mettere sullo schermo storie quantomeno interessanti e, per di più, l’uso del computer ha accorciato le distanze tra noi e il Nuovo Mondo.
Ciò che manca, nel campo della fantascienza in Italia non è solo la conoscenza del genere, ma l’interesse di fare un tipo di film costosissimo, sempre cercando di imitare il modello americano senza averne le capacità effettive con le ovvie e dovute eccezioni del caso.
Con mancanza di idee (soggettisti e sceneggiatori specializzati nel genere), attori adatti ai vari ruoli e, sopra ogni altra cosa, produttori in grado di avere quell’illuminismo che non sia solo la ricerca del guadagno a qualunque costo e che invece ha procurato loro flop sul mercato cinematografico italiano e una bassissima considerazione su quello internazionale quando riusciva ad approdarvi, nemmeno la televisione ha dedicato un grande spazio alla fantascienza, anzi l’ha sempre trattata come se fosse una cosa ignota, pericolosa, sconosciuta, da sviluppare mischiandola ad altri generi ritenuti di sicuro impatto.
Eppure abbiamo il dovere di ricordare che i pionieri del cinema di fantascienza non risiedono negli Stati Uniti o in Inghilterra: sono italiani e la culla della cinematografia fantascientifica italiana non fu la città di Roma bensì Torino nell’ormai lontano 1910 e negli anni a seguire grazie soprattutto alla Soperga Film e ad altre case torinesi che spaziarono, sull’onda di Méliès nel campo della fantascienza, del fantastico ed anche di un horror piuttosto cupo per quei tempi.
Ma tutto questo non è argomento principale da trattare in questa sede. Dobbiamo quindi saltare a piè pari tutta la cinematografia espressionistica tedesca prima e la famosa saga dei mostri della Universal Studio poi e giungere a quel periodo ricordato dagli appassionati dell’epoca come “i favolosi mitici anni Cinquanta del cinema di fantascienza”.
Durante quel periodo gli Stati Uniti erano già i dominatori del mercato cinematografico e i principali esportatori del genere; una serie di pellicole che fecero storia e che, ancora oggi non solo sono ricordate ma sono state in gran parte rifatte ai tempi attuali, con tecniche enormemente più sofisticate le quali però non hanno quasi mai minimamente scalfito i classici di allora.
ll primo grande film di fantascienza dell’era moderna, apparso anche sugli schermi italiani, è stato, senza alcun dubbio, il memorabile Destination Moon (in Italia, Uomini sulla Luna) che il produttore-regista George Pal, cui si dovrà anche l’ancor più memorabile La guerra dei mondi, realizzò nel 1950, conquistando un meritatissimo Premio Oscar per gli effetti speciali, oltre che un sorprendente successo di pubblico e di cassetta.
“L’affascinante avventura di domani” promettevano all’epoca, le foto pubblicitarie nei cinema e, in effetti, la pellicola è la ricostruzione fedele di un viaggio sulla Luna, almeno secondo le conoscenze che si avevano allora.
Ma negli gli Stati Uniti la produzione cinematografica era in pieno fermento come dimostra questo breve riassunto di una nuova affascinante opera:
Un disco volante atterra in pieno giorno e nel centro di Washington e da esso esce un essere del tutto simile a noi. Il suo nome è Klaatu. Da dove viene Klaatu? A sentire le sue parole, ha percorso quattrocento milioni di chilometri per giungere fino a noi, il che vorrebbe dire una distanza che sta tra Marte e Giove, forse da un avamposto alieno posto a guardia dei terrestri e dei loro istinti guerrafondai? Appena scoperta l’energia atomica ecco che la Terra riceve la visita di un antesignano rappresentante di quella Federazione dei Pianeti che giungerà alla ribalta più volte sui nostri schermi e che verrà consacrata definitivamente con l’arrivo di Star Trek sui teleschermi. Per intanto Klaatu ci avverte che se continueremo per la strada che stiamo percorrendo verremo distrutti. Sta a noi scegliere se vivere in pace con loro oppure no.
Il lettore avrà capito che stiamo parlando di Ultimatum alla Terra (1951) di Robert Wise, rifatto e parzialmente massacrato in tempi più recenti
Molti alieni hanno visitato la Terra e certamente non sempre con intendimenti pacifici, anzi, verrebbe spontaneo affermare che il nostro pianeta è tra i più richiesti dell’universo conosciuto. Non è stato ancora occupato per varie e basilari ragioni che possiamo rapidamente enumerare così:
1) Quando tutti i nostri sistemi di difesa falliscono o ci pensano i germi del raffreddore ad eliminare questi sconsiderati invasori, o uno scienziato genialoide che in quattro e quattr’otto t’inventa l’arma definitiva.
2) Se i sistemi di cui al punto uno non funzionano, ecco l’intervento di Madre Natura la quale usando alluvioni, terremoti ed altre amenità del genere ti risolve la situazione.
3) Inutile impegnarsi tanto con sistemi così faticosi. È sufficiente attendere. I terrestri sanno autodistruggersi perfettamente da soli, basta saper aspettare con pazienza. Il problema è che, per ora, essi hanno avuta fin troppa fortuna.
Klaatu, invece, pur portando un messaggio d’avvertimento, invita i terrestri ad “unirvi a noi e vivere in pace“. Non capiterà’ spesso, come vedremo, perché gli intendimenti della maggior parte dei visitatori spaziali sono di conquista, di distruzione e di massacro.
Nello stesso anno, ancora una volta ci troviamo di fronte ad un alieno di aspetto umanoide per il quale però l’uomo è fonte di cibo si tratta de La cosa da un altro mondo (The Thing from Another World, 1951) firmato da Christian Nyby ma in realtà girato da Howard Hawks, di cui Christian Nyby era l’abituale operatore e questa fu la versione sulla lavorazione che ne diede Kenneth Tobey, protagonista del film ma Howard Hawks, su questa notizia, dichiarò: “ Christian Nyby era il mio direttore di montaggio, uno dei migliori nel suo lavoro. Ho pensato che dovevo dargli una chance. L’ho aiutato ma non ho mai girato al suo posto. Mi sono limitato a dirgli: “Attento, stai sbagliando” o cose del genere”
Il film è liberamente tratto da un racconto John W. Campbell, intitolato Who Goes There? e venne pubblicato per la prima volta nell’agosto del 1938 con lo pseudonimo di Don. A Stuart sulla rivista Astounding Science Fiction di cui lo stesso Campbell era direttore.
La storia del film è nota: Un disco volante precipita tra i ghiacci polari. Mentre la nave spaziale viene accidentalmente distrutta, uno degli occupanti viene trovato congelato. Una volta portato dentro la base scientifica dagli uomini che hanno organizzato la spedizione, questi si libera dal ghiaccio e comincia a compiere stragi. Un arco voltaico, alla fine, distruggerà l’essere vegetale.
Nello stesso periodo, in Italia, usciva finalmente La macchina ammazza cattivi di Roberto Rossellini. In realtà il film era stato iniziato nel 1948 ma problemi finanziari, mai insoliti in questi casi, fecero sì che la pellicola venisse completata da Massimo Mida Puccini e Renzo Avanzo nel 1951. Vi si racconta la storia di un grande potere nascosto in una piccola macchina fotografica, poiché essa dispone della facoltà di far scomparire le persone malvagie. Il suo possessore comincia a farne uso, ma si rende conto molto presto che dovrebbe far sparire troppi esseri umani.
È nel 1953 che escono negli Stati Uniti per poi giungere qui da noi, tre importanti film destinati anche loro a fare la storia del cinema di fantascienza (Destinazione…Terra, La guerra dei mondi e Il risveglio del dinosauro).
Mostri di tutti i generi si apprestano ad affollare il mercato italiano, le invasioni si faranno più spietate e, purtroppo, anche più ridicole; nello stesso tempo alcuni film diventano più sofisticati, densi di significati nascosti, o di interpretazioni personalizzate. Impera ancora la paura della bomba, la “guerra fredda” è nel pieno del suo svolgimento. È il periodo d’oro dei kolossal di Hollywood: tutto ciò che è statunitense è ben fatto e ben visto, fa “moda” (oggi si direbbe che era trandy) e si cerca di imitarlo. Mancano ancora cinque anni al primo sputnik sovietico.
La letteratura di fantascienza intanto muove i suoi primi, incerti passi anche nel nostro Paese: nascono e muoiono, in breve lasso di tempo, riviste anche di dignitoso valore, ma edite purtroppo da piccole case che non riescono a emergere e a tenere il passo con produzioni allora di maggior interesse commerciale. Sola fra tutte, edita da un grande editore, Urania rivista, pur conoscendo una vita breve, apre il passo all’ancora vivente collana de I Romanzi di Urania (oggi solo Urania) che, al di là dei suoi alti e bassi, può vantarsi, se non di essere stata la prima, di risultare oggi di fatto la più anziana e venerabile pubblicazione italiana di science fiction.
La narrativa di fantascienza sin da allora mostrò di essere più evoluta e profonda di quella cinematografica. Non si accontentava di ricorrere a mostri e ad “astronavi alla conquista”, ma spaziava per tutti i vasti campi d’interesse offerti dal genere. In pieno sviluppo tecnologico, di fronte alle continue scoperte scientifiche che alimentavano i sogni dell’uomo, i testi letterari offrivano stimoli e prospettive ben più ampi di quelli cui si limitava il medium cinematografico: erano gli anni che in America vedevano la nascita di riviste come Galaxy e Fantasy and Science Fiction, che cercavano di superare il binomio “mostri & missili” su cui puntava la fantascienza per il grande schermo.
Questo non era dovuto soltanto all’immaturità dello spettatore, non ancora pronto ad affrontare problematiche psicologiche o sociali, ma, ed è più reale, alla volontà dei produttori di sfruttare al massimo le psicosi allora ricorrenti: l’ignoto dello spazio e i suoi misteri, l’enigma degli UFO, la paura dell’atomica e delle sue conseguenze.
Si apre anche un elementare discorso politico. Il messaggio di disarmo, di pace e di fratellanza, tipico delle pellicole americane del periodo mostra poliedriche sfaccettature.
“La guerra atomica è una gran brutta cosa”, dicevano in sintesi questi film, “ma non siamo noi a volerla, sono loro… ” Loro, per il cinema americano, altri non erano che i sovietici: gli unici, veri responsabili di un eventuale conflitto atomico dalle disastrose conseguenze. Una Terra desolata, irta di crateri fumanti, abitata da creature mostruose, uniche eredi del patrimonio umano, era il futuro del nostro mondo se affidato in mano ad un popolo che non possedeva scrupoli o remore di sorta. Tutto ciò che era americano, viceversa era buono, sano e giusto; mentre quanti si opponevano all’american dream erano gli alieni, i mostri, risvegliati da un millenario letargo o scesi sulla Terra per conquistarla.
È questo un giudizio che, peraltro, non vale universalmente, un metro interpretativo che non spiega sempre tutto: sì, alcune pellicole possono prestarsi, fra le pieghe, ad un discorso del genere e altre addirittura sono state prodotte con chiaro intento propagandistico, ma, nella maggioranza dei casi, i soggetti erano affidati alle mani di produttori i quali non si sognavano minimamente di pensare in termini politici, sia perché non ne avevano le cognizioni necessarie, sia perché esulava dai preminenti interessi commerciali. Il film sui mostri e sui razzi rendeva quattrini: quindi, perché non farli? Questo è ciò che il produttore medio principalmente pensava, e null’altro. Se la letteratura italiana e, a maggior ragione quella straniera, proseguiva la sua strada, il cinema aveva ormai imboccato la propria.
Come abbiamo detto dobbiamo attendere il 1953 per avere tre film che segnarono la storia e che apparvero proprio in quell’anno e che giunsero anche in Italia.
Destinazione… Terra fu probabilmente il più suggestivo dei tre anche perchè portava la firma come sceneggiatore, dello scrittore Ray Bradbury e la regia era di Jack Arnold alla sua prima prova fantascientifica e che diventerà uno dei registi più acclamati del periodo.
Uno dei metodi più subdoli usati dagli alieni per infiltrarsi in mezzo ai terrestri e’ quello di assumere il loro aspetto e cercare di comportarsi da terrestri, questo almeno entro certi limiti perché deve sempre esserci il modo per poterli riconoscere, vuoi perché fissano il Sole senza battere le palpebre, vuoi perché hanno il dito mignolo che viaggia per conto suo (è noto che gli alieni, anche se umanoidi, hanno quattro dita per cui il mignolo è un optional), vuoi perché indossano un “Edgar-abito” come se fosse un vestito che sta loro un po’ largo, o stretto a seconda delle dimensioni dell’infame extraterrestre che lo indossa.
Non esiste un metodo sicuro per riconoscere gli alieni che si sono infiltrati tra noi, ma c’e’ chi dice, per esempio, che i dottori e gli avvocati che aiutano i loro pazienti o clienti senza chiedere nulla in cambio ma solo per il desiderio di fare del bene, non possono essere che degli alieni e che quindi la serie televisiva di Perry Mason o E.R Medici in prima linea sono, per la ragione citata prima, dei serial di pura fantascienza ma queste sono illazioni che, se pur valide, non possiamo, e ce ne dispiace, farle rientrare nei generi che stiamo trattando.
Ma non sempre gli alieni che arrivano sul nostro pianeta ed assumono le forme terrestri sono qui per invaderci. Possono cadere sul nostro strano e barbarico mondo per errore o per un guasto ed il loro primo desiderio è di ripartire al più presto evitando ogni contatto con noi. È il caso, dicevamo, di una delle più ispirate pellicole del cinema di fantascienza Destinazione…Terra (It Came from Outer Space) cui sono seguiti film considerati tra i maggiori del genere in quel periodo e che sono stati fonti d’ispirazione per registi come Steven Spielberg, Joe Dante, John Carpenter, James Cameron e molti altri.
Attraverso un dialogo poderoso, mai inutile, anzi suggestivo ed umano, Destinazione… Terra ci porta a considerare questi alieni sì come dei diversi (dato che la loro vera forma è tanto orribile per la nostra limitata visione delle forme di vita essi sono costretti a prendere un aspetto umano per nascondersi e per potersi aggirare fra i terrestri), ma dotati comunque di una comprensione ed una lungimiranza tali che li porta ad incontrare esseri di altri mondi. Eppure anche questi ambasciatori spaziali dimostrano tra loro un carattere diverso per cui c’è chi passa subito alle armi come la “Helen aliena” che sarà uccisa dal protagonista John.
Girando il suo Incontri ravvicinati del terzo tipo (1977), Steven Spielberg avrebbe voluto avere accanto a sé il regista e Richard Carlson per congiungere così in un unico filo fantastico i due film di cui la pellicola di Spielberg è un ideale seguito perché ora il momento è giunto ed essi sono tornati…
In fondo la storia è abbastanza semplice: Sand Rock, Arizona. Una gigantesca meteora cade presso una vecchia miniera abbandonata. Le indagini compiute da un giornalista, John Puttman (Richard Carlson) portano alla scoperta che il bolide è in realtà un’astronave proveniente da altri mondi, scesa per un guasto sul nostro pianeta. Gli esseri che sono a bordo sono tanto orribili a vedersi, almeno secondo il nostro metro di misura, ma hanno la facoltà di prendere l’aspetto di terrestri per poter circolare liberamente in città allo scopo di procurarsi i materiali che servono per riparare la loro nave spaziale. John Puttman si convince delle loro buone intenzioni e li aiuta nella loro missione: fa saltare l’ingresso della miniera, l’unico che dà accesso alla nave spaziale e gli extraterrestri liberano gli ostaggi umani di cui erano in possesso e ripartono. Torneranno quando l’uomo sarò pronto per riceverli.
Le successive pellicole di Arnold (Il mostro della Laguna Nera, 1954; Tarantola, 1955; La vendetta del mostro, 1955; Radiazioni B.X.: distruzione uomo, 1957; Ricerche diaboliche, 1957; I figli dello spazio, 1958; Il ruggito del topo,1958; L’incredibile casa in fondo al mare, 1969) sono da tempo cult del cinema di fantascienza, così come il suo intervento non accreditato in tutto il secondo tempo di Cittadino dello Spazio (1955) e la sceneggiatura de La meteora infernale e Terrore sul mondo (1957) realizzati poi dal suo allievo John Sherwood.
Il secondo film può essere definito tranquillamente un kolossal d’epoca. Era liberamente tratto da un romanzo di Herbert George Wells e prodotto da un altro nome famoso, George Pal: si tratta de La guerra dei mondi (The War of the Worlds) diretto da Byron Haskin.
A parte l’ambientazione portata ai tempi nostri il film segue abbastanza da vicino il romanzo di Wells sfrondandolo ed aggiornandolo là dove era necessario, cosa che farà anche il mediocre remake del 2005, e soltanto un film, ovviamente inedito in Italia, dello stesso anno, H.G.Wells’ the War of the Worlds di Timothy Hines, realizzerà una versione quasi perfettamente consona al romanzo da cui è tratta la vicenda, ma con effetti speciali assolutamente inferiori.
E anche qui parliamo di storia nota ma abbiamo comunque il dovere di riportarla: una gigantesca meteora cade sulla Terra e da essa escono delle navi marziane dotate di raggi disintegranti che seminano la morte e la distruzione. È l’inizio di un’invasione in piena regola. I colpi dei cannoni e dei proiettili s’infrangono contro l’ombrello elettronico di protezione delle navi marziane. Si cerca allora di distruggere gli alieni con il lancio di una bomba atomica, ma è tutto inutile; un’équipe di scienziati cerca di trovare un altro sistema per debellare le creature, ma la folla inferocita e spaventata distrugge tutta la strumentazione che essi stavano per portar via durante l’evacuazione della città. Ora non ci sono più speranze. Mentre i marziani stanno radendo al suolo Los Angeles avviene il miracolo: i germi della nostra atmosfera sono fatali per i marziani che muoiono a bordo delle loro spaventose macchine.
Il film costò circa un miliardo di lire italiane, prezzo estremamente alto a quell’epoca e la sua realizzazione fu molto sofferta e laboriosa; occorsero, infatti, più di sei mesi solamente per elaborare gli effetti speciali, più altri due per le sovrapposizioni e i trucchi visivi. La lavorazione effettiva con gli attori, svoltasi parte a Hollywood e parte in Arizona, fu la più breve: quaranta giorni.
Terzo e l’ultimo film per quanto riguarda il 1953 mentre, per il momento, in Italia tutto tace, è Il risveglio del dinosauro (Beast from 20.000 Fathoms) di Eugene Louriè. Diciamocelo chiaramente: non è all’altezza degli altri due ma è comunque un film importante e ha meritato un posto preciso nella storia dei film di mostri e di science fiction, perché ha dato ufficialmente il via a tutto un genere particolare.
Artefice degli effetti speciali di questo film era un altro nome famoso nel campo del fantastico e della fantascienza: Ray Harryhausen che aveva appreso la tecnica detta Stop Motion da Willis O’Brien e fu poi da lui velocizzata, con grandi vantaggi economici per il cinema dove il tempo è denaro, e chiamata Dynamation. Nel 1953, l’anno in cui venne realizzato Il risveglio del dinosauro, Harryhausen non aveva ancora mai lavorato da solo: così esitò a lungo prima di accettare, anche perché i produttori non gli lasciavano molto tempo per svolgere il suo lavoro. Come già O’Brien, Harryhausen realizzò il suo fantastico “Rhedosauro” (un nome fasullo per un animale altrettanto mitico) con il lattice e l’ossatura di ferro, lo provò davanti agli scenari precostruiti in piccole dimensioni e lo mosse, fotogramma per fotogramma, di poche frazioni di millimetro alla volta. Se si tiene conto che una pellicola normale ha uno scorrimento di 24 fotogrammi al secondo, ecco che ci vogliono 24 movimenti impercettibili per fare un secondo di movimento percettibile.
Più complessa diventa la tecnica quando si deve far vedere l’animale a contatto, o quasi, con gli esseri umani in tal caso, su uno schermo viene fatta scorrere, sempre fotogramma per fotogramma, l’immagine di persone che per esempio guardano di fianco; il muso del Rhedosauro viene inserito davanti allo schermo e mosso anch’esso fotogramma per fotogramma in perfetto sincronismo con l’immagine proiettata. Girata la pellicola, risulterà l’immagine voluta, questo perché nel cinema non esiste la profondità di campo, salvo adoperare la tecnica del “3D”. Al massimo, se il lavoro non è perfetto, risulterà qualche slabbratura o sfocatura, specie nella parte degli esseri umani e questo perché trattandosi di una scena ripresa due volte la nitidezza, almeno all’epoca, andava qualche volta perduta. Quando, qualche mese dopo l’uscita della pellicola, i produttori si accorsero che con una spesa minima avevano realizzato qualcosa che stava rendendo fiumi di dollari, pensarono di sfruttare convenientemente il filone, girando molteplici film su ogni sorta di animali e insetti che impazzavano, debitamente ingigantiti o risvegliati da millenari letarghi, sulla nostra povera Terra.
La storia di un mostro preistorico che si risveglia dal suo sonno millenario è oggi giustamente diventata un classico, infatti quando un’esplosione atomica tra i ghiacci del Polo scioglie un lastrone di ghiaccio dentro al quale dormiva in uno stato letargico un Rhedosauro, l’animale si ritrova vivo e libero di percorrere la banchisa e di raggiungere New York affondando navi e sgranocchiando batiscafi. Una volta raggiunta la città inizia la sua opera di devastazione. Le forze militari attaccano il mostro ferendolo e così si viene a scoprire che il suo sangue è portatore di una malattia sconosciuta per cui si rende necessario uccidere la creatura con una granata radioattiva sparata dentro la ferita già esistente. Il piano viene approvato ed eseguito mentre il mostro sta pasteggiando con un otto volante a Coney Island. Il colpo è perfetto e l’animale muore.
(Continua)