PICARD: I PERSONAGGI NON MUOIONO MAI
Tutti sanno che la prima saga di Star Trek si concluse bruscamente e che ci vollero parecchi anni e diversi blockbuster per arrivare a vedere la morte del mitico Capitano Kirk, in un ideale passaggio di testimone con la Next Generation. Dopo altri sette anni di viaggi stellari, si concluse anche questa seconda avventura e in un modo molto intelligente.
Nell’ultimo episodio, il Capitano Picard inizia a saltare, in modo apparentemente casuale, nel tempo della sua vita, visitando il suo stesso passato e futuro. La cosa sembra causata da un grave problema al cervello che presumibilmente alla fine lo ucciderà, tuttavia poi si scopre che si tratta del mitico alieno Q il quale, dietro al suo sprezzante umorismo, nasconde sempre dei nobili fini.
Il tutto è un abile trucco per mostrare quali potrebbero ipoteticamente essere i destini dei personaggi dopo la chiusura della saga, tuttavia senza dirlo in modo certo perché alla fine della storia quel futuro alternativo viene azzerato lasciando nuovamente spazio all’immaginazione. Vedremo qualcosa del genere anche negli episodi finali di Star Trek Voyager.
Avendo lasciato le cose in sospeso, tuttavia, non appena ci si sentì sicuri dell’interesse del pubblico ci furono ben cinque seguiti cinematografici che ci lasciarono in un triste momento, con il sacrificio di uno dei beniamini del pubblico, il Comandante Data. Da questi fili pendenti, l’idea di una serie odierna dedicata al comandante Picard e ai suoi amici la cui ultima puntata abbiamo potuto vedere in questa quarantena di fine marzo.
Per valutare questo progetto, per prima cosa, occorre dire che gli appassionati di Star Trek, esemplificando, si possono dividere in due categorie: i “Vecchi brontoloni” e i “Comunque entusiasti”. Il Vecchio Brontolone estremo vi dirà che esiste una sola serie di Star Trek, quella degli anni sessanta, e che tutto il resto poteva anche non esser fatto. Il suo giudizio ha basi più che solide, infatti non si è lasciato sfuggire neanche una puntata di tutte le vituperate serie e dei film di Star Trek realizzati negli ultimi cinquant’anni. Il Comunque entusiasta non contraddirà mai il Brontolone – soprattutto se entrambi sono soci del Club dei Trekkie, perché in tal caso il brontolone è come minimo un contrammiraglio e si sa che con i gradi non si scherza – tuttavia ammetterà candidamente che a lui personalmente la nuova serie in questione è piaciuta lo stesso… e tanto.
Fatto questo distinguo, non si può non notare che entrambi questi appassionati sono rimasti enormemente spiazzati da tutte le nuove serie successive alla fatale dichiarazione del 2005 che, con la conclusione prematura della saga Enterprise, sembrava aver decretato la fine irrevocabile di tutte le serie di Star Trek. A partire del remake cinematografico di J. J. Abrams e passando per Discovery (la cui terza stagione promette di spingersi davvero dove nessuno è mai giunto prima) lo sconcerto è stato generale.
Per spiegare questo fatto, occorre ricorrere a una metafora musicale, perché, alla fin fine, è tutta una questione di “atmosfera”. Potremmo paragonare le vecchie serie, fino ad Enterprise, ad un adagio di Beethoven. Si tratta di un movimento lento, vasto, profondo, sì con dei rapidi guizzi, ma sempre ben radicato in una riflessione che indaga sulla condizione umana e sul posto dell’uomo nell’universo.
Le nuove saghe, invece, sono come una musica del settecento. Effervescenti, sfavillanti, senza mai un attimo di cedimento degli archi che imperversano con un ritmo incalzante, ma sempre nell’atto di scivolare sulla superficie, anche quando la trama si ispessisce, come per un intervento di Mozart, il quale, pur gioviale e gaudente, già un po’ presagiva l’anima tragica del romanticismo che gli sarebbe succeduto.
Si tratta di concetti molto diversi della regia e della sceneggiatura, concetti che stranamente sono dissimili anche quando alla guida vengono messi registi storici, che quindi hanno potuto partecipare a entrambe le stagioni dell’epopea trekkiana. Possiamo solo ipotizzare che sia cambiata la macchina produttiva.
Fatto sta che nei nuovi lavori, seppur le scenografie sono di un livello prima neanche ipotizzabile – anche se spesso troppo grandi ed elaborate per essere ben percepite sul piccolo schermo – le trame sono terribilmente incalzanti (cosa che alle volte causa delle esemplificazioni un po’ troppo forzate), l’evoluzione dei personaggi è continua, spesso caotica, mentre l’approfondimento delle tematiche è quasi nullo. Ciò che era piaciuto agli appassionati non attira il grande pubblico, che si lascia sedurre solo da prodotti che lo lasciano continuamente col fiato sospeso, come nei baracconi di un luna park.
E veniamo dunque al nostro nuovo racconto dedicato al comandante Picard, ma non solo a lui, perché possiamo anche rincontrare, quando disponibili, molti dei personaggi che avevamo visto nelle vecchie serie. Abbiamo quindi parte del vecchio equipaggio della seconda Enterprise, ma anche qualche personaggio che viene dalla saga di Voyager, come la mitica Sette di Nove.
Senza addentrarci nella trama, il nostro Capitano vive un’esistenza da vecchietto in attesa del trapasso, quando il destino lo ributta in mezzo alla mischia. E per fortuna il tutto è realizzato con un certo stile, perché non sarebbe stato certo realistico vedere un settantenne che zompa di qua e di là, e invece si capisce che Jean Luc riesce a sfuggire ai raggi laser dei nemici solo per pura fortuna o per la bravura di coloro che lo circondano e che lo amano. E forse è questo il bello di questa nuova versione del personaggio, l’unico potere di Picard è quello di saper persuadere gli altri e di sapersi far amare, di avere una visione più vasta delle cose, che va oltre il concetto del conflitto fine a se stesso.
La storia si dipana in dieci episodi in modo relativamente complesso, anche se con una trama molto più prevedibile delle elaborate congetture che noi fan andavamo ipotizzando mano a mano che uscivano le varie puntate. Da qui un senso di delusione e di “tirato via”. Soddisfatto invece il nostro lato nostalgico, perché gli appassionati si sono potuti commuovere per molte scene che rievocavano il passato – dato che i trekkie, anche se non lo danno a vedere, in fondo sono dei gran romanticoni.
Una delle cose che più si temeva era la morte del personaggio principale, e questo a dispetto persino della già annunciata lavorazione di una seconda stagione. Senza dirvi troppo, il terribile fatto avviene, ma anche no. Perché – come si sa fin dalla terribile e prematura morte, poi smentita, di Sherlock Holmes – i personaggi delle storie non muoiono mai davvero. C’è sempre un modo per farli tornare, se si vuole (ricordate la morte di Superman?).
L’ultima inquadratura di questa prima stagione sembrerebbe poi promettere ciò che i fan desideravano fin dall’inizio, e che hanno avuto solo in parte: vedere il loro Capitano con il suo nuovo equipaggio che torna ad esplorare la galassia. Questo però potrebbe essere disatteso, perché un simile impianto narrativo forse necessiterebbe anche il ritorno a un modo di sceneggiare i telefilm che oramai non esiste più. I personaggi tornano sempre, i vecchi sceneggiatori e produttori, no.
© Giorgio Sangiorgi 2020
Giorgio Sangiorgi
Sangiorgi lavora e vive a Bologna. Dopo un esordio nel campo del fumetto, ha vinto alcuni premi letterari locali per poi diventare uno degli autori e dei saggisti della Perseo Libri Il suo libro "La foresta dei sogni perduti" ha avuto un buon successo di pubblico. Ora pubblica quasi esclusivamente in digitale e alcuni suoi racconti sono stati tradotti e pubblicati in Francia e Spagna.