Per aspera ad astra
Gianni era al lavoro già da un paio di ore nella grande serra che campeggiava maestosa al centro della vasta pianura che da tempo immemore aveva saputo accoglierla benevola. Riportava alla memoria le bolle di sapone che da bambini amavamo far delicatamente appoggiare al palmo della mano per poi guardarvi attraverso e ammirare l’iridescenza generata dai mille raggi di luce che silenziosi la trafiggevano.
Un pallido Sole al limitare dell’orizzonte stava spennellando con rosee sfumature gli ultimi brandelli della notte.
Una fine balza di piccole dune, risulta dell’ultima tempesta di sabbia della stagione, contornava l’intero perimetro della grande bolla di vetro impedendo, a tratti, la piena visibilità dell’orizzonte, ma questo non era d’ostacolo allo spettacolo dell’alba che da lì a poco avrebbe conquistato il proscenio e Gianni aveva un posto proprio in prima fila.
L’ingegner Gianni Bonati, ‘Inge’ per gli amici, era un simpatico ragazzo con vista sulla mezz’età, capello arruffato, un accenno di barba, non tanto alto, o meglio, ‘slanciato verso il basso’, così amava definirsi; snello quanto bastava per garantirgli quell’agilità nei movimenti che gli veniva utile per praticare, con un minimo di dignità e piacere, l’arte dell’arrampicata. Un uomo di pianura che amava la montagna? “Questione di punti di vista, dalla cima dei monti anche il paesaggio montuoso riconduce alla pianura”, era solito rispondere a chi gli proponeva la provocatoria domanda.
Magna cum laude in Ingegneria Agraria e successiva specializzazione in Processi di Terraformazione. Gianni aveva alle spalle un curriculum vitae di tutto rispetto che lo avevano portato in pochi anni a diventare responsabile tecnico di Gea Mater Uno, un esteso complesso di infrastrutture funzionali alla bonifica di un territorio ribelle, duro, ostile all’uomo e al contempo affabulante cantastorie di un florido passato congelato nelle pieghe di un tempo vecchio di milioni di anni.
E proprio questo faceva Gianni, risvegliare dal sonno atavico l’opulenza di una natura benigna nel segno dell’ecosostenibilità. Lo stesso nonno Achille era stato tra i principali fautori del primo progetto di canalizzazione di un importante bacino d’acqua salata intrappolato nella sotto superficie del pianeta. Circa sessant’anni prima il dottor Achille Bonati fu celebrato con tutti gli onori del caso dall’intera comunità scientifica per un’importante, quanto strabiliante, scoperta. Un lago allo stato liquido di una ventina di chilometri di diametro era stato individuato a circa millequattrocento metri di profondità in prossimità del Polo Sud del pianeta. La forte pressione dei ghiacci sovrastanti e l’abbondanza di sali presenti nelle rocce avevano compiuto il miracolo preservandolo in quello stato per centinaia di milioni di anni. Non era solo un importante fonte di vita, ma il sacro sacello di un passato da ricostruire. La lunga esperienza tutta italiana nella ricerca di bacini sotto i ghiacci di Antartide e Groenlandia aveva dato ancora una volta conferma della propria eccellenza; il nonno ne andava fiero e Gianni più del nonno.
“Direi che i pomodori hanno dato un’ottima resa quest’anno, che ne pensi DANTE?”
“Il mio spettrometro infrarosso indica una percentuale di licopene molto alta… con l’aggiunta di vodka, tabasco, limone, sale e pepe, ne risulterebbe uno strepitoso Bloody Mary!”
“Ahahahahah… sempre sul pezzo, grande DANTE!”
Gianni stava procedendo a passo lento tra filari di turgidi Cuori di Bue e Marmande, cultivar tardiva quest’ultima, ma dai frutti grossi e saporiti.
DANTE era sempre al suo fianco durante queste quotidiane visite di supervisione alle colture della Grande Serra. L’intera struttura veniva costantemente monitorata da una complessa rete di sensori a nanotecnologia; l’enorme flusso di dati raccolti veniva elaborato da sofisticati algoritmi di intelligenza artificiale per garantire non solo condizioni ambientali ottimali alla crescita delle piante nel rispetto della biodiversità, ma di essere allertati istantaneamente al prospettarsi di qualunque anomalia potesse compromettere lo stato di salute del prezioso patrimonio genetico. Fredde strutture algoritmiche che preservavano la vita; lunghe spirali di DNA intrecciate a sequenze di zero e uno. Gianni faticava a non esserne estasiato. Chiudeva gli occhi, e nel completo silenzio di quel succedaneo grembo materno, lasciava che il profumo della terra, delle erbe aromatiche, dei fiori, dei frutti maturi, delle foglie secche, lo permeasse nel profondo dell’anima facendolo sentire parte di quell’inarrestabile ciclo della natura.
“DANTE, sai a che ora arriverà il nonno?”
“No Gianni, ma posso verificarlo prima che tu possa pronunciare quella tipica espressione ferrarese usata al pari del prezzemolo sulle pietanze! Alquanto colorita, concedimelo, ma senza dubbio di sicura efficacia! Molti la confondono con ciò che Linneo classificò ‘Sus scrofa domesticus’ o ‘busgat’, se vogliamo concederci un vezzo dialettale, ma che da ricerche etimologiche risulta derivare dall’espressione ‘mai al mondo’…” Gianni, con un leggero accenno di sorriso, completò la frase dell’amico “…maial!” per poi scoppiare in una grassa risata.
“Giustappunto” fu la laconica risposta di DANTE.
In quel preciso istante un ‘bip bip’ notificò la presenza di un nuovo messaggio: ‘Ciao nipote, sono il nonno. Tra una decina di minuti sarò a Gea Mater Uno. Il viaggio è andato una meraviglia. A dopo.’
Gianni ritenne opportuno interrompere il sodalizio bucolico intrapreso con i filari di pomodori per conquistare a passo lesto l’ingresso della serra e riceve il nonno con tutti gli onori del caso. Era passato più di un lustro dall’ultima volta che lo aveva incontrato di persona.
“Swissssss” la porta a scorrimento che isolava l’intera struttura dall’ambiente esterno scivolò silenziosamente sui binari mentre un lieve refolo di vento accompagnò l’ingresso del gradito ospite. Il dottor Achille Bonati si palesò alla vista del nipote, corporatura atletica, viso scarno, una consolidata canizie a testimonianza di un lungo vissuto, gilè grigio damascato su un’impeccabile camicia bianca, profumava di saggezza e olio dopobarba al sandalo giapponese.
Gianni se pur di carattere anaffettivo, valutò opportuno sugellare quel momento con un caloroso abbraccio, ma il nonno, limitandosi ad allungare la mano destra, aggiunse con scarso coinvolgimento “Caro figliolo, una vigorosa stretta di mano è più che sufficiente!”
In palese imbarazzo, Gianni accondiscese all’alternativo protocollo per poi profondersi in una cordiale presa a due mani, almeno quella il nonno gliela doveva concedere.
“Ciao nonno, ben arrivato a Gea Mater Uno!” Lasciate le mani al canuto familiare, aggiunse “sai che ti trovo in perfetta forma nonostante la tua non più tenera età!” Salace puntualizzazione a cui il nonno non tardò controbattere.
“Buon cibo, passeggiate all’aria aperta e tanta lettura, ‘mens sana in corpore sano’… i prossimi saranno novantadue!”
“Complimenti nonno, sei sempre stato un maestro di vita…” il nonno, che non amava essere adulato più del dovuto anche se riconosceva essere quelle sincere esternazioni di filiale affetto, interruppe il nipote “grazie figliolo, ti credo sulla parola, ma veniamo al sodo, perché mi hai voluto qui? E… ti sei accorto che sopra le nostre teste sta svolazzando uno strano oggetto?”
Gianni non seppe trattenere un’ampia e sonora risata.
“Certo, certo… un attimo di pazienza, dunque ti ho voluto qui oggi per condividere il risultato del progetto che ti ha visto protagonista tanti anni fa e ‘lo strano oggetto’ sopra le nostre teste è DANTE.”
“DANTE?” Rispose incuriosito il nonno.
“DANTE è l’acronimo di Drone Agronomo a Neuro Tecnologia Evolutiva, è il mio aiutante tuttofare… sai, applicazioni di intelligenza artificiale di ultima generazione!”
“Capisco, mooooolto interessante, ma dimmi del progetto, hai acceso la mia curiosità più del dovuto” Gianni soddisfatto per essere riuscito ad accattivarsi l’attenzione del nonno, non indugiò oltre “bene, allora non ci resta che indossare gli indumenti a tenuta termica e andare all’Oasi.”
Gianni non fu certo parco di dettagli nello spiegare al nonno cosa celasse l’Oasi. Questo era il termine che Gianni aveva trovato più confacente per classificare un’area pianeggiante di circa cento ettari nel cui sottosuolo erano state individuate cavità naturali, evidente testimonianza di fenomeni carsici in un lontano passato. Parte dell’impianto di canalizzazione delle acque che alimentavano Gea Mater Uno era stato rimodulato con l’obiettivo di pompare il prezioso fluido negli anfratti sotterranei dell’Oasi andando a rigenerare proprio quelle vecchie falde acquifere perse negli eoni del tempo. Un’opera di ingegneria idraulica senza eguali, ma questa era solo la metà del grande miracolo di bonifica. Genetisti avevano incrociato i fattori di crescita del bambù con quelli della resistenza ai climi rigidi del lichene nordico per poi impiantarli con efficacia in esemplari di felce, creando così una super-pianta in grado non solo di sopravvivere a un ambiente ostile quale poteva essere l’inverno antartico, ma con la capacità di proliferazione tipica delle infestanti. Le felci geneticamente modificate avevano trovato da subito il loro habitat ideale all’interno dell’Oasi iniziando, a poche settimane dalla loro piantumazione, a produrre percentualmente più ossigeno di quanto il pianeta stesso perdesse quotidianamente nello spazio esterno.
Ciò che si presentò agli occhi di nonno Achille aveva dell’incredibile, una macchia di colore verde lucente abbandonata dal pennello di un incauto pintore sulla vastità di una tela rosso ruggine. Nessuno proferiva parola, non ve ne era bisogno; a volte il silenzio stesso è la massima esternazione di ammirazione estatica. Gianni percepiva chiaramente lo stato di grande emozione in cui versava il nonno, se non fosse stato per il casco protettivo che impediva di vederne completamente il volto, avrebbe giurato di aver visto scendere una lacrima tra le grinze scritte dal tempo.
Gianni invitò Achille a salire sul piccolo quadriciclo fuoristrada.
“Ti porto dentro l’Oasi, voglio stupirti un’ultima volta, reggiti!”
“Più di così?” Sentenziò Achille “Credimi nonno, il meglio deve ancora venire”, detto ciò, spinse al massimo sull’acceleratore lasciandosi alle spalle una nube di fine polvere rossastra.
Seguendo il tracciato di un antico greto arrivarono ben presto al centro della piana verdeggiante. Enormi piante di felce in ogni dove li sovrastavano e già ai loro piedi nuovi germogli stavano spuntando rigogliosi. Era giunto il fatidico momento. Fissando il nonno negli occhi, con un lento gesto della mano Gianni gli sganciò il blocco di sicurezza del casco e glielo tolse. Achille era talmente frastornato che nemmeno si rese conto dello sconsiderato gesto del nipote che avrebbe potuto costargli la vita. Subito dopo Gianni fece lo stesso con il proprio.
Una prima, profonda, appagante, prolungata inspirazione, poi una seconda, una terza e tante altre ne seguirono a sancire l’eternità di un fugace attimo. Quello era solo l’inizio del miracolo della natura.
Il Sole aveva da poco conquistato la quotidiana posizione di astro predominante nel cielo, ma osservando attentamente nel chiarore di ponente era ancora visibile il baluginare di una bellissima stella dai bagliori azzurro verde, era il pianeta Terra.
Racconta Davide Formenti: “‘Per aspera ad astra‘ è stato scritto per il concorso di narrativa indetto dalla Bonifica di Ferrara. Su 113 racconti pervenuti è stato il solo a tema SF. Purtroppo, non hanno gradito il genere, ma sono stato comunque contento di essermi distinto con un racconto SF.” Il problema di questo bel racconto è che il finale non è certo una sorpresa per il lettore smaliziato, anche se le sequenze in purissimo stile Hard SF sono ben rese e appaiono molto suggestive. Ai lettori l’ultima parola.
Davide Formenti
nasce a Bondeno (FE) l’8 giugno 1966. Già in giovane età ha dimostrato uno spiccato interesse per il mondo della scienza lanciando, tra l'altro, il suo primo razzo autocostruito. Nel 1992 ha conseguito la Laurea Magistrale in Ingegneria Elettronica presso l’Università di Bologna. Nel 1999 collabora con un’azienda come Responsabile della Ricerca e Sviluppo. Da sempre amante della montagna, dal 2019 pratica arrampicata sportiva sotto il vigile occhio della moglie Rosalia.