LE MACCHINE CHE DISTRUSSERO PARIGI
Nel 1971, Peter Weir era una giovane speranza del nascente cinema australiano. Al suo attivo aveva 4 cortometraggi (2 documentari e 2 narrativi) e il mediometraggio Homestead, interpretato dal comico Graeme Bond, una specie di parodia del cinema horror e dei delitti in ambiente chiuso alla Agatha Christie. All’epoca Weir era sotto contratto con il Commonwealth Film Unit, un’agenzia britannica che aveva lo scopo di sviluppare le cinematografie locali dei vari Paesi del Commonwealth. Dopo Homestead, il CFU gli concesse un “semestre sabbatico” che Weir usò per girare l’Europa. A Londra vide un programma televisivo che spiegava come gli incidenti autostradali fossero una causa di mortalità ben più alta degli omicidi, però ricevevano minore attenzione dai mass-media. Weir pensò allora che causare un incidente d’auto fosse il delitto perfetto, perché nessuno l’avrebbe collegato a un omicidio. Weir concepì così l’idea di un paesino sperduto nel deserto australiano che attira i viandanti in incidenti con finti segnali, per poi ucciderli e derubarli, e la sviluppò nella prima stesura del copione di The cars that ate Paris. Questa prima versione aveva un tono comico, e Weir pensò a Graeme Bond come protagonista. Restandone insoddisfatto vi rinunciò. Dopo aver girato altri tre documentari, Weir chiese a due sceneggiatori, Keith Gow e Piers Davis, di aiutarlo a revisionare il copione di The Cars that Ate Paris, dandogli un tono più ironico che farsesco: scopo del regista era far sì che gli elementi comici emergessero dagli eventi quotidiani, piuttosto che da una serie di gag elaborate. I tre adottarono l’insolita procedura di recitare i dialoghi e gli episodi della sceneggiatura man mano che venivano scritti, fino ad arrivare a un risultato che convincesse il regista.
Weir propose allora questa stesura finale a due suoi amici, i gemelli Jim e Hal McElroy. Questi avevano già una nutrita esperienza nel settore logistico di cinema e tv ed erano decisi a passare alla produzione. I McElroy trovarono l’appoggio dell’Australian Film Development Corporation, il comitato statale australiano del cinema, e della casa di produzione Royal Smeal, raggranellando così 250.000 dollari australiani: una cifra modesta anche per l’epoca, ma sufficiente. Le riprese si tennero nell’ottobre 1973 a Sofala, una località rurale del New South Wales. Su suggerimento della Royal Smeal, il film fu girato in Panavision. Weir ricorda che questa scelta fu per lui uno shock, abituato a girare in 16 mm, eppure si entusiasmò presto alle possibilità che questo formato gli offriva (soprattutto la ricchezza di dettagli e l’ariosità dei panorami) e le riprese si svolsero velocemente e senza intoppi.
ATTENZIONE: SPOILER
Il film racconta di Arthur Waldo (Terry Camilleri), un disoccupato che viaggia per l’outback australiano insieme al fratello George in cerca di lavoro. Una sera una luce ingannevole causa un incidente alla loro auto presso il villaggio di Paris: George muore, ma Arthur, quasi illeso, viene ospitato generosamente dal sindaco di Paris (John Meillon) e integrato nell’intera comunità, composta da bizzarri ma accoglienti personaggi. Paris è una località in cui non si usa denaro, bensì si praticano il baratto e il riciclo, specialmente dei pezzi di scarto di automobili e dove si praticano anche esperimenti scientifici sui malcapitati viandanti come lui, che non sono così benefici come gli si vuole far credere…
Il film presenta sicuramente aspetti horror e fantascientifici, come la serialità omicida degli abitanti di Paris e i macabri esperimenti del direttore dell’ospedale, volti a ottenere schiavi obbedienti per la comunità. L’ambiente stesso di Paris è descritto quasi come una specie di utopia (o distopia) realizzata con una economia priva di denaro e autosufficiente. Non mancano nemmeno elementi western, come la parodia del duello di C’era una volta il West (1969) di Sergio Leone, in cui persino la colonna sonora di Bruce Smeaton scimmiotta quella di Ennio Morricone.
Ma Weir non è interessato tanto a costruire un film di genere, quanto a inserire alcuni cliché dei vari generi in un mosaico che ritrae una situazione in cui l’assurdità rappresenta la quotidianità. In questo senso i primi due terzi del film non hanno una vera e propria trama, ma sono un collage di annotazioni ironiche e surreali, raccontate però con un’ironia gradevolissima e una cura per il dettaglio fantasiosa e azzeccata, anche quando sono macabri (come il trapano con la croce rossa abbandonato fra gli strumenti chirurgici). Anche i personaggi minori sono tratteggiati con una profondità che va aldilà della macchietta o del bozzetto, cercando di dare un’impronta approfondita, pur nella loro psicopatia.
La parte finale del film racconta lo scontro fra Arthur e la comunità di Paris contro una banda di giovani teppisti che scorrazza per i dintorni a bordo di auto truccate, non solo nei motori ma anche esteriormente, con una serie di decorazioni che si rivelano essere armi letali, come gli spuntoni che contornano il maggiolino Volkswagen ritratto anche nel manifesto del film. Il film fu un fiasco commerciale anche in patria, eppure divenne ugualmente una fonte d’ispirazione (o imitazione, fate voi) per il cinema di fantascienza futuro. Il maggiolino “appuntito” ispirò le auto letali di Anno 2000: la corsa della morte (Death Race 2000, 1975) di Paul Bartel, mentre tutta la serie di Mad Max, iniziata nel 1979 con Interceptor (Mad Max, 1979) e rilanciata recentemente con Mad Max: Fury Road (id., 2015), è basata proprio sul concetto della bande automobilistiche “armate e corazzate”.
Terry Camilleri è un attore maltese che esordì proprio con il film di Peter Weir, e da allora proseguì una carriera come caratterista prevalentemente comico in Australia e in America. Qui offre un’interpretazione deliziosamente ingenua e svagata del suo personaggio, dandogli un senso di innocenza e spaesamento. Lavorò ancora con Peter Weir in un episodio della serie tv The Luke Kingdom (1976) e interpretando l’uomo nella vasca da bagno in The Truman Show (id., 1998). Nel cast si nota la presenza di Bruce Spence, il simpatico caratterista australiano dal volto cavallino, visto anche in Interceptor – Il guerrerio della strada (Mad Max 2, 1981) di George Miller, Mad Max – Oltre la sfera del tuono (Mad Max – Betyond Thunderdome, 1985), rispettivamente secondo e terzo capitolo della citata saga di Mad Max, in Matrix Revolutions (id., 2003), Star Wars III – La vendetta dei Sith (Star Wars III – Reveng of the Sith, 2005), e nel ruolo del mago Zeddicus nella serie tv fantasy La Spada della Verità (Legend of the Seeker, 2008-2010). Nel film di Weir interpreta un meccanico trasformato in spietato ma a suo modo innocente “cacciatore di uomini”. Spence lo ritrae come una figura infantilmente ossessionata da gadget ed entusiasta del suo lavoro, facendone uno dei punti di forza del film.
Jim e Hal McElroy produssero altresì i due successivi film di Peter Weir, anch’essi a carattere fantastico: Picnic a Hanging Rock (Picnic at Hanging Rock, 1975) e L’ultima onda (The Last Wave, 1977), due film che, oltre a lanciare la carriera del regista, aprirono le porte del mercato mondiale al cinema australiano. Peter Weir oggi è il cineasta australiano forse più famoso al mondo. In seguito girò Gli anni spezzati (Gallipoli, 1981) e Un anno vissuto pericolosamente (The Year of Living Dangerously, 1982), entrambi interpretati da un giovane attore australiano destinato a fama mondiale: Mel Gibson (già protagonista di Mad Max, guarda caso). In seguito Weir si trasferì a Hollywood, inanellando diversi titoli epocali, come Witness – Il testimone (Witness, 1985), L’attimo fuggente (Dead Poet’s Sociey, 1989), The Truman Show (id., 1998), Master & Commander (id., 2003).
Tit. Orig.: The Cars that Ate Paris
Anno: 1974
Produzionone: Australia
Regia: Peter Weir
Musica: Bruce Smeaton
Cast: John Meillon, Terry Camilleri, Melissa Jaffa, Kevin Miles, Max Gillies, Bruce Spence
Mario Luca Moretti
Altri interessi oltre al cinema e alla letteratura SF, sono il cinema e la la letteratura tout-court, la musica e la storia. È laureato in Lingue (inglese e tedesco) e lavora presso l'aeroporto di Linate. Abita in provincia di Milano
Mario, proprio un bel tuffo nel passato fatto con puntualità, attenzione e precisione… fa quasi venir voglia di rivederlo!