“Infinity Pool” critica della decadenza occidentale
Dalla recensione del film secondo Variety…
In “Infinity Pool”, ciò che accade a Li Tolqa rimane a Li Tolqa, un paese impoverito dove, se sono abbastanza ricchi, gli ospiti stranieri possono letteralmente cavarsela dopo un omicidio. Ma non è tutto. I visitatori organizzano orge grottesche in cui i loro genitali sembrano trasformarsi davanti ai loro occhi. La gente del posto ospita anche rituali assurdi, in cui i miscredenti vengono clonati e poi costretti ad assistere alla propria esecuzione. E poi, a Li Tolqan ci sono anche macabri personaggi, vere e proprie maschere in pelle, che forse sono frutto di incesti tra consanguinei, o sono stati recuperati dopo falliti esperimenti di clonatura.
Sarebbe tutto piuttosto scioccante se il film fosse firmato da qualcuno che non fosse Brandon Cronenberg, il figlio pazzo del regista di “Scanners” David Cronenberg. Probabilmente, costui e un tipo molto simpatico nella vita reale, ma le immagini che il piccolo Cronenberg propone possono insinuarsi nel nostro subconscio e ripresentarsi per gli anni a venire. In molti modi, “Infinity Pool” è perfetto (trasgressive riprese di erezioni che eruttano da orifizi simili a vagine, o qualcuno che allatta l’attore Alexander Skarsgård). Eppure, questa volta il cupo Brandon sembra essere impazzito, come infatti, una certa parte dei fan dell’horror lo considera.
Pensate a “Infinity Pool” come a una sorta di horror estremo, una specie di “Hotel California” degli Eagles: un racconto ammonitore sulla decadenza occidentale in fuga, ambientato dentro e intorno a un resort elegante dove i turisti spensierati possono fare il check-in in qualsiasi momento, ma poi…
Il romanziere fallito James Foster (un coraggioso Skarsgård, che assomiglia più che mai a suo padre) si fonde bene nell’ambiente, una variazione più cesellata sul personaggio che Ralph Fiennes ha interpretato nella cupa satira della coscienza sporca in “The Forgiven.” James non è nato ricco, ma si è sposato, e la moglie Em (Cleopatra Coleman) sembra felice di pagare il conto per viaggi come questo, sperando che il marito possa uscire dal blocco dello scrittore.
Nel loro paradiso, James ed Em possono fingere che tutto vada bene. Ma ci sono indizi – sotto forma di guardie armate, filo spinato e terribili avvertimenti sul non mettere piede fuori dal resort… Per cui questo potrebbe essere il Paradiso o anche l’Inferno.
Qui, entra la regina del brivido Mia Goth (“Pearl”), che interpreta Gabi, la tentatrice aggressivamente amichevole, una moglie simbolo che conosce Li Tolqa da anni, lei e il losco marito architetto Alban (Jalil Lespert). Gabi riconosce James e gli parla del primo libro che l’uomo ha scritto, anche se nessun altro sembra averlo letto. Invita lui ed Em a cena, a cui segue una gita verso illeciti piaceri fuori dal resort, dove la donna continuerà a molcere non solo l’ego dell’ospite. Per ciò che succede in questo luogo, si capisce fin troppo bene perché il film abbia ottenuto un rating di Restricted.
Troppo ubriaco per tornare indietro, Alban cede il volante a James, che nel ritorno, nel cuore della notte, falcia un contadino che sta attraversando la strada.
Cronenberg va dritto al sangue, inquadrando ossa rotte, teschi schiacciati, pozze di sangue cremisi con l’appetito di un fotografo gastronomico. Il regista mostra una linea più indiretta verso il senso di colpa, che dovrebbe essere l’argomento di cui parla ‘Infinity Pool‘ – o almeno uno dei temi chiave di questa critica pungente.
Su insistenza di Gabi, i nostri non chiamano la polizia. Il film gioca sulle paure occidentali di quelli che Donald Trump ha definito “Shithole Countries“, cioè posti in cui i locali disperati violenteranno, uccideranno o rapiranno i turisti anche se in questo caso, i responsabili della maggior parte delle la violenza, sono i visitatori.
Il resort e l’ambiente sono quelli della Croazia, ma anche dell’Ungheria, benché l’uso di segnaletica illeggibile e comparse di razza mista, suggerirebbero un posto meno occidentale.
Le autorità corrotte sono ancora più intimidatorie dei civili vagamente minacciosi intravisti lungo le strade e James, la mattina dopo quando lui ed Em vengono arrestati, inizia a dare di matto.
Qui il film prende una svolta fantascientifica.
Mentre il capo della polizia Thresh (Thomas Kretschmann) spiega quale sia la punizione per omicidio colposo: secondo la legge, il figlio maggiore della vittima, “Dovrà uccidere il colpevole per preservare l’onore della famiglia.“
Per fortuna esiste una scappatoia. A Li Tolqan hanno sviluppato una procedura di clonatura, disponibile a un costo maggiorato, attraverso la quale i delinquenti possono farsi duplicare il fisico e i ricordi. Potrebbero quindi decidere di far punire il doppelgänger al loro posto. Chi non accetterebbe una simile offerta?
Dal punto di vista di Cronenberg, è un’affascinante proposta psicologica. Alcune persone fantasticano di partecipare ai propri funerali, in questo caso è addirittura possibile assistere alla propria esecuzione a morte.
Ma se il doppio è davvero il tuo duplicato, come fai a sapere quale versione di te stesso è stata uccisa? Ha davvero importanza? In tre lungometraggi, Cronenberg e il direttore della fotografia Karim Hussain hanno stabilito un linguaggio visivo unico, che spazia da un’atmosfera giusta, fino alle allucinazioni fantasmatiche tipo Henri-George Clouzot nel suo “Inferno“. Quest’ultimo aspetto entra in gioco quando vediamo la procedura di clonazione, poiché “Infinity Pool” ci fa affogare in un montaggio di parti del corpo, la maggior parte delle quali probabilmente protesiche, anche se appaiono troppo velocemente per poterlo dire con sicurezza. Tutta quella pelle è innegabilmente erotica, ma anche inquietante.
James emerge dall’esperienza – non solo della clonazione, ma dallo shock di vedersi sventrato – un uomo cambiato. Em è inorridita e insiste per lasciare immediatamente La Tolqa, ma Gabi non potrebbe essere più allegra. Ora ha un nuovo compagno di giochi, che presenta a un gruppo d’élite di altri ospiti che hanno passato anche loro la stessa esperienza. Da qui in poi, “Infinity Pool” smette di poter sembrare logico, scivolando in una sorta di modalità da incubo, amplificata da una droga locale psicotropa. James abbraccia la sensazione liberatoria di essere al di sopra della legge. O sta semplicemente cercando di sfuggire alla sua coscienza?
Quello che segue è uno stufato quasi incoerente di giochi di potere squilibrati e cupamente umoristici, mentre la Gabi interpretata da Goth diventa una megera ridacchiante decisa a umiliare James. La sua spirale discendente è sorprendente da guardare, ma sempre più difficile da elaborare (il rapido taglio subliminale non lo rende affatto più facile). Quando ci troviamo di fronte a Skarsgård che lotta rabbiosamente per sottomettere una versione nuda di se stesso, il film ha da tempo cessato di avere senso. Il regista canadese ha creato l’equivalente cinematografico di un disegno di Maurits Cornelis Escher, che si piega, si spezza e si ripiega su se stesso in modi impossibili. Per quanto sia sconvolgente, difficilmente riusciamo a distogliere lo sguardo.
Insomma una pellicola che sembra essere curiosa, provocante, originale e forse troppo trasgressiva…
Sergio Giuffrida
Classe 1957, genovese di nascita, catanese d'origine e milanese d'adozione. Collabora alla nascita della fanzine critica universitaria 'Alternativa' di Giuseppe Caimmi, e successivamente alla rivista WOW. Dai primi anni Novanta al novembre 2021 è stato segretario del SNCCI Gruppo Lombardo. Attualmente è nel board di direzione con Luigi Bona della Fondazione Franco Fossati e del WOW museo del fumetto, dell'illustrazione e del cinema d'animazione.