Caligine Prima Parte
L’immagine di anteprima è di Roberta Guardascione. World © di Roberta Guardascione. All rights reserved.
Scelti dal Direttore
Il racconto Caligine è pubblicato a puntate.
Repubblica, giugno 2017
Nebbia anomala nell’Italia Settentrionale: dopo l’allarme in Asia e il successivo coinvolgimento di aree dell’est Europa, Austria e Germania, aumentano le segnalazioni sulla comparsa di banchi di nebbia atipici anche in Italia; interessate alcune zone della bassa padana, del Veneto e della Romagna.
Corriere della Sera, settembre 2017
Il presidente della Protezione Civile dichiara: “evacuare e isolare le zone toccate dalla nebbia: potrebbe essere mortale se inspirata”. Analisi tossicologiche effettuate su alcuni pazienti ricoverati per intossicazione dopo avere stazionato presso i banchi di nebbia presenti su tutto il territorio nazionale, confermano la presenza di elementi chimici nocivi per la salute umana nella misteriosa bruma venuta dall’Est.
Il Messaggero, ottobre 2017
Nebbia assassina: esperimento bellico sfuggito al controllo? Fuga di carburanti o gas radioattivi da centrale nucleare? Attacco chimico? Morbo sconosciuto? Sempre più numerose le zone interessate dalla foschia velenosa, da oggi presidiate dall’esercito e dagli uomini della Protezione Civile. I decessi causati dalla tossicità dell’aria solo nel nostro paese, ufficializzati dal Dipartimento di Medicina Legale questa mattina, salgono a trecento. Migliaia di morti in Europa. I Capi di Stato riuniti oggi a Londra per individuare misure di sicurezza adeguate ad arginare il problema. Interrotte le missioni spaziali. Chiuso lo spazio aereo sopra le zone coinvolte. Città blindate. Interdetti gli spostamenti da e per U.S.A., Australia e America Latina.
ANSA, dicembre 2017
Esodo. Terrore in Europa: la nebbia non si arresta. Secondo il Daily Mail il numero di decessi per intossicazione e singolari sparizioni sale a ventisettemila, senza contare le migliaia di persone ricoverate in isolamento. Scienziati da tutto il globo accorsi a Londra per studiare il fenomeno, non sanno dare una spiegazione al flagello che sta debellando la popolazione europea. Entro un anno dovrebbe sorgere a Berlino la prima Colonia: altre due sono in costruzione. Seguiranno le due di Roma ma il numero potrebbe aumentare secondo il fabbisogno, e Parigi (sette Colonie secondo i calcoli ottenuti dall’ultimo censimento). Tre Torri sono previste a Milano.
L’Europa come la conosciamo sta scomparendo? Le grandi metropoli si svuoteranno fino a morire? Le città colonia, sviluppate per centinaia di piani in altezza come nei classici della fantascienza, saranno in grado di offrire ogni comfort ai sopravvissuti? Il futuro dell’umanità è in pericolo?
Mentre si cerca di dare un nome alla nebbia che uccide, la popolazione trasferita in zone pulite, strutture di emergenza o basi militari marine sul Mediterraneo e nella Manica, resta in attesa di migrare nelle Torri: la necessità di architetture sviluppate in altezza per aggirare l’ostacolo caligine ha dato vita all’eccezionale progetto, studiato e ideato da un team di ingegneri e architetti provenienti da tutto il mondo. Se ne parlerà questa sera a reti unificate.
Il Direttore dei lavori dichiara: “salveremo più vite possibile, stiamo lavorando a velocità inaudita. Le migliaia di operai coinvolte negli oltre centocinquanta cantieri disseminati in tutta Europa fanno turni estenuanti: non si dorme mai. Le Colonie saranno presto realtà. Al più presto forniremo indicazioni su come iscriversi alle liste per le selezioni e assegnazioni di spazi all’interno delle Torri.”
In risposta all’ondata di proteste sollevata dalle unità civiche, dai movimenti animalisti e dai sindacati dei diritti umani, i portavoce del Governo sottolineano che la drastica misura di sicurezza rappresentata dalle Colonie è un accorgimento d’emergenza, una soluzione temporanea per quanti rimangono sulla terraferma, per dare tempo alle nazioni di risolvere in maniera definitiva il problema. Una soluzione temporanea che, in ogni caso, sconvolgerà la vita di milioni di persone.
“L’immaginazione richiamava la sconvolgente forma dell’eccelso Yog-Sothoth
– solo un cumulo di sfere iridescenti,
tuttavia stupenda nella sua maligna allusività.”
P. Lovecraft, L’orrore nel museo
1
«Dove hai trovato queste notizie, e perché?»
Lo schermo liquido del device passa da mani grandi a mani più piccole.
«Per una ricerca a scuola sulla storia della Colonia.»
«Vi fanno studiare fatti di quasi un secolo fa, per quale motivo? Io non ho mai fatto cose del genere, mi chiedo a cosa serva.»
«Serve a non dimenticare da dove veniamo, dice la mia insegnante. È anziana lei. Era bambina quando è iniziato tutto. Ora mi porti al settimo a respirare?»
«E da dove verremmo secondo lei, scusa? Ma papà sa che questa qui vi fa perdere tempo col passato?»
«Noi veniamo dalla terra orizzontale» dice la piccola. «Mi porti su a giocare sul prato?»
«Allora: i figli degli operai respirano, giocano e vanno a scuola dal cinquantaduesimo al cinquantacinquesimo piano. Memorizza lo schema in quella nocciolina che hai al posto della testa perché non te ripeto più. Dal sessantesimo al novantesimo ci sono gli uffici, gli appartamenti, le scuole e le sale giochi dei tecnici. Loro hanno le finestre, ecco, questo può farti arrabbiare. Dal centesimo al centonovantesimo stanno i ricchi. I dirigenti, i politici, i commercianti, quelli coi soldi: i capi; loro hanno terrazzi e balconi ma non godono della vista migliore: è troppo alto lassù. Al duecentesimo fino al duecentocinquantesimo ci sono le coltivazioni, i prati, le distese di alberi, non ci vive nessuno. Capito? Ecco perché non puoi andare a giocare all’area verde al settantesimo oggi. E adesso finisci di mangiare che poi ti porto alla ludoteca.»
«No! Voglio andare al giardino pensile, è più bello della ludoteca, è all’aperto! È dal mio compleanno che non mi porti fuori, Andrea tipregotipregotiprego…»
«Lo so, ma tu a differenza di molti altri bambini hai il privilegio di poter giocare nel giardino pensile tre volte l’anno, anziché mai, grazie ai bonus offerti dal lavoro di papà. La prossima vacanza studio sarà tra un paio di mesi, resisti!»
Andrea sistema meglio il piatto davanti alla bambina e controlla l’ora sullo schermo del device.
«Mimì ha detto che nella nebbia ci sono i fantasmi delle persone morte e che papà non tornerà più perché è diventato un fantasma anche lui, che il mostro di nebbia lo ha mangiato.»
Gli occhi di Martina sono pieni di lacrime adesso. Le bacchette di plastica cadono nella ciotola di riso e verdure.
«No, ehi. Cosa ne sa Mimì della nebbia e dei morti? Non ne sa nulla te lo assicuro» Andrea si allunga verso la sorellina e la cinge tra le braccia. Detesta che le voci sui presunti fantasmi affamati di carne umana che popolano il mondo fuori dalla Colonia siano giunte alle orecchie di Martina. Disprezza l’ignoranza di quanti mettono in giro simili dicerie; la cosa la fa infuriare soprattutto quando suo padre è fuori in missione e la squadra è in ritardo sulla data di rientro stabilita.
«Avranno avuto un problema con la rete» dice in maniera sbrigativa, ma sa di mentire. I furgoni corriere della Speed Line sono attrezzatissimi; vere e proprie basi mobili che si occupano del ritiro e trasporto della merce di scambio tra le Torri vicine e gli operai a bordo sono preparati, equipaggiati per sopravvivere giorni e giorni fuori dalle mura della Colonia.
«Sono partiti dall’altra Torre cinque giorni fa, se la staranno prendendo comoda» dice ancora: «hanno tre depuratori per l’aria e cibo a volontà. Stai tranquilla.»
Ancora uno sguardo all’orologio. Andrea simula tranquillità anche se l’ultimo dispaccio ufficiale inoltrato dalla centrale di controllo non lascia presagire nulla di buono e nello scambio di email il capo squadra della Speed Line è stato evasivo, quasi irritante.
«Ma i fantasmi che mangiano la gente esistono, Andrea? E i mostri?»
«No. Non esiste un cavolo di niente là fuori, Marti. Solo un mondo avvelenato dal gas e tante leggende nate dalla paura e dall’ignoranza.»
«Ma perché non mandano i droni a prendere il cibo alle altre Torri se uscire è pericoloso?»
«Lo sai perché: venivano intercettati e dirottati da linee sconosciute e non tornavano indietro. Ci sono cose che le macchine non possono ancora fare al posto delle persone, Marti. Non mangi più?»
La ciotola col riso avanzato finisce nella cella frigo. Martina sta ancora fissando i paesaggi naturali proiettati sulle pareti al posto delle finestre quando l’allarme dell’apertura all’ingresso del gambo sud risuona nell’aria. Un basso ululato spento dalla distanza. Le due si guardano in silenzio; la piccola salta giù dalla sedia, la grande afferra la felpa e la indossa al volo. Un minuto dopo sono fuori dall’appartamento al cinquantatreesimo piano e corrono sui tappeti mobili del quartiere A53, verso i giganteschi ascensori che collegano i vari livelli della Colonia.
La ludoteca pullula di ragazzini. Martina piange, vuole scendere al gambo sud a vedere se è tornato il papà. Andrea le promette che torna a prenderla subito, con tutta certezza in compagnia del genitore e scappa, dopo averle posato un bacio in fronte.
2
La piattaforma di metallo e vetro scivola giù dai livelli quartiere e scende attraverso cinquanta piani di cavi, tubature e sistemi fognari e di smaltimento per fermarsi con uno sbuffo alla base del gambo sud, uno dei quattro titanici pilastri che sostengono la struttura della Colonia. Uscendo dalla cabina Andrea scorre con gli occhi la fila di numeri sulla pulsantiera e prova a immaginare i cinquanta piani inabitati che non ha mai visitato; sa che molti sono occupati da unità militari, dai magazzini di generi alimentari e beni di primo consumo, dalla farmacia e laboratori di analisi chimiche e farmacologiche e dal nucleo informatico, il cuore elettronico della colonia.
Stordita dalla confusione di uomini e mezzi nei locali attigui all’entrata, si avvia verso il primo dei tre anelli che la separano dal mondo esterno, dal suolo contaminato che nessun uomo che non sia un operaio specializzato calpesta da decenni; da quella terra che lei, e tutti quelli che come lei sono nati nella Colonia, non hanno mai toccato se non con lo sguardo dalle terrazze verdeggianti.
La hall brulica di operai, tecnici della manutenzione e forze dell’ordine che si affrettano verso l’anticamera dell’uscita. Andrea conosce la strada per l’esterno perché suo padre una volta gliel’ha mostrata, nonostante questa sia severamente interdetta ai non addetti ai lavori.
“Nessuno può uscire dalla Colonia” le parole del papà le suonano nella testa “nessuno può fare un giro, esplorare i dintorni, recarsi a trovare parenti e amici che vivono in altre Torri, a causa del rischio di contaminazione, ma in fondo perché uscire? Qui dentro abbiamo tutto quello che può servire, anche di più.”
All’ululato delle sirene si unisce il rombo di alcune camionette militari ferme davanti alle mura di metallo; immani inferriate che lentamente si separano per lasciare uscire gli automezzi. Andrea percepisce tensione, tira su il cappuccio e si incanala nel traffico umano; qualcuno la strattona: “dove vai ragazzina? Qui non ci puoi stare” ma lei si abbassa e scivola via, tra gambe e braccia sconosciute perché vuole correre incontro a suo padre e abbracciarlo. Desidera vederlo scendere dal furgone e sfilarsi maschera e cappuccio. Vuole assistere al gesto routinario dei colleghi che gli spruzzano addosso nuvole di gas disinfettante e vederlo sorridere mentre gli getta le braccia al collo. In verità vuole anche dirgli di cambiare lavoro. Questa volta ha avuto più paura di sempre e pretende che lui richieda la promozione che gli hanno promesso. Che non esca più dalla Colonia.
Un frastuono di boati sovrasta sirene e motori. Sembrano spari. Gli ululati si spengono e dagli ascensori giungono le grida del personale di servizio che incita tutti a lasciare il secondo anello. Chi spara? Perché?
Qualcuno corre nella direzione opposta alla sua; Andrea coglie stralci di frasi, parole divorate dai suoni: “sono entrati! Scappate! Chiudete l’anello!”.
“Ma che succede? Chi è entrato?” Dalle camionette oltre la grata metallica Andrea vede sciamare decine di soldati, altri boati saturano l’aria e il sipario di ferro che conduce all’ultima cancellata si chiude con uno schianto. Nel tentativo di sigillare l’accesso al cuore della Colonia, però, le terribili ante hanno spezzato a metà un mezzo blindato che tentava di entrare con la forza. Andrea lo riconosce: è uno dei furgoni della Speed Line vecchio e consumato; il muso sfranto, spellato, come divorato da un morbo del metallo. No. Riconosce la targa; quello è il furgone sul quale viaggia suo padre, ma era nuovo quando ha lasciato la Colonia una manciata di giorni prima. Cosa può essere successo? Il cuore le balza in gola. Non si è mai trovata in una condizione di pericolo o allarme così reale: quelle sono scene che ha visto sugli schermi nelle hall e nelle zone comuni della Colonia, sono incidenti che ha visto accadere alle altre Torri, mai alla sua. La paura le blocca le gambe e il respiro le muore nel petto. Ma soprattutto: dov’è suo padre?
Squadre di polizia intervenute in massa dai piani sottostanti cercano di impedire il passaggio degli operai attraverso i tornelli, ma Andrea è già un passo oltre la soglia. Se c’è suo padre su quel furgone deve saperlo. Un incidente? Il motore in avaria? Qualcuno ha assaltato il mezzo e ha costretto l’equipaggio a sfondare i cancelli? Ma qualcuno chi?
Come in un incubo le tornano alla mente le parole di Martina sui mostri che popolano il mondo nebbioso attorno alle Torri. Andrea scaccia quei pensieri e corre lontano dalla polvere che ricopre il varco d’entrata, oltre le cancellate. Il mondo fuori è luminoso e bianco come la paura.
Oltre il secondo anello è un caos di allarmi e clangori metallici. Andrea si rifugia dietro a una colonna nel tentativo di riprendere a respirare, le mani premute sul petto, gli occhi sbarrati. Ha davvero visto quello che ha visto? Non può essere vero, ma le ha viste coi suoi occhi: creature mostruose ricoperte di squame e pellicce avanzare attraverso la hall. Getta ancora uno sguardo agli esseri cornuti, immensi, che si fanno strada tra la polvere e attaccano e uccidono brutalmente gli uomini della Colonia, come se fossero insetti.
Continua
Il racconto Caligine è World © di Emanuela Valentini. All rights reserved.
Emanuela Valentini
Vive e lavora a Roma, ma è Londra la città dove il suo cuore si sente a casa. Adora i classici della letteratura ottocentesca per lo stile inimitabile e i temi trattati, ma legge di tutto. Scrivere, per lei, è essenziale come il respiro. Da qualche mese è entrata a fare parte della redazione di Speechless. Autrice di strane storie, ha un romanzo weird nel cassetto.