“AD ASTRA” DI JAMES GRAY (2019)
Ad Astra è il finale di una frase latina, «Per aspera ad astra», che vuol dire “attraverso le avversità, verso le stelle”. La locuzione ricorda molto da vicino il capitolo finale dell’inarrivabile 2001: odissea nello spazio, e cioè “Giove e oltre l’infinito”. Anche se nel film di James Gray la meta è Nettuno, l’argomento è l’instancabile corsa del genere umano nel voler andare sempre oltre.
Il sommo Vate, già secoli or sono scrisse: «Considerate la vostra semenza: fatti non foste a viver come bruti, ma per seguir virtude e canoscenza». E proprio quest’ultimo concetto affliggerà l’essere umano fino alla fine dei suoi giorni. Se arriveremo dove nessuno è mai giunto prima, dove non si può andare più in là, potremo allungare il braccio oltre?
Il film è stato realizzato con la collaborazione di tecnici e astronauti della Nasa. Lo stesso Brad Pitt, protagonista e produttore, ha intervistato di persona uno degli astronauti tuttora presenti sulla Stazione Spaziale Internazionale, Nick Hague. I due hanno discusso, e in parte scherzato, sull’assenza di gravità e sullo stress psicologico e fisico della cosa; aspetti chiave per la decifrazione del lavoro del regista statunitense.
Infatti, Roy McBride (B. Pitt) è introverso, a volte scollegato dalla realtà, introspettivo, riflessivo e quasi meditativo, soprattutto a causa della partenza del padre, il colonnello Clifford McBride (Tommy L. Jones), pluridecorato messo a capo, dallo United States Space Command, della missione LIMA, diretta verso Nettuno alla ricerca di segnali di vita extraterrestre.
Come succede nei film di fantascienza, soprattutto quelli speculativi, tipo 2001, Interstellar e anche Solaris, qualcosa è andato storto: da anni non si hanno notizie del perché il padre di Roy, forse ancora vivo, ha iniziato a condurre esperimenti con l’antimateria. Risultato è il rilascio di una potente forza energetica denominata il Picco che, attraversando tutto il sistema solare arrivando fino alla Terra, è in grado di provocare «una crisi di proporzioni sconosciute».
«Ci piace definire questo film il futuro della scienza, non fantascienza (omissis) ispirandoci a tutto ciò che oggi è presente nelle nostre vite», dichiara lo stesso J. Gray e chissà se veramente non ci sia un pericolo tutt’ora presente al limite del nostro sistema solare…
La scienza ufficiale è compartimentalizzata in modo che, seppur vicine, una persona non sa quello che sta facendo l’altro. Solo in questo modo possono essere salvaguardate le missioni Top Secret. Il comando spaziale così usa Roy, per stanare il padre, una missione quasi militare tipo cerca e distruggi.
Nell’ipotetico futuro del film l’uomo è diventato un divoratore di mondi, la Luna è quasi completamente colonizzata (da non perdere la scena dell’inseguimento sulla superficie lunare con i rover), ci sono avamposti su Marte e altre basi sparse nel sistema solare, fino a Nettuno. Stavolta, però la Mission to Neptun, parafrasando un film di Brian de Palma non sarà di salvataggio.
Il viaggio fino quasi ai limiti dell’eliosfera è lungo e gli altri componenti dell’equipaggio muoiono uno a uno, come se il padre fosse capace di uccidere anche a distanza, alcuni eliminati da un babbuino cavia in una scena che strizza l’occhio ad Alien e al recente Life. Curiosamente, il termine LIMA nell’alfabeto fonetico indica la “effe” come life.
Così Roy resta solo con se stesso e paradossalmente sente il padre ancor più vicino sebbene siano a miliardi di miglia di distanza. Il film, seppur con enormi difficoltà da parte del protagonista arriva con una certa linearità fino alle sequenze finali dove sono racchiusi i concetti più interessanti e che giustificano il lavoro degli autori e la stimolazione, con scene spettacolari e a effetto sia dal punto di vista visivo sia acustico, dello spettatore ansioso di arrivare all’atto finale.
Roy ritrova il padre nell’astronave (forse è lui il vero mostro), dove sono tutti morti e dove questi giocava a fare Dio: «Non mi è mai importato nulla di voi, di tua madre, di te, delle vostre piccole idee». Ora sono faccia a faccia, padre e figlio, una lacrima scende sul viso di Roy, che finalmente si può liberare dalla forma di ossessione, di rabbia, forse delusione, per essere stato abbandonato da bambino: «I figli pagano sempre per le colpe dei genitori».
Nel tentativo di riportarlo indietro è però il padre che recide volontariamente il cordone ombelicale, che stacca la cima che li teneva uniti e Roy è costretto, impotente, a osservare il padre, che si allontana nell’abisso dell’infinito e che finalmente, anche se per pochi minuti, esce a riveder le stelle.
La domanda: se gli esperimenti con l’antimateria creavano picchi di energia catastrofici, quando l’astronave esplode e l’antimateria viene a contatto con la materia, questo non dovrebbe essere ancor più distruttivo? Potrebbe creare anche una singolarità, un buco nero, in grado di inghiottire tutto il nostro sistema solare? La morale è nascosta tra i pianeti e i due anelli di Nettuno: «A volte la volontà dell’uomo deve superare l’impossibile per cercare quello che la scienza ritenga non esista» e finalmente potremo dare risposta, riportata su un poster dentro la nave, alla domanda che ci è tanto cara: «Is there anyone out there? Yes, yes, yes?».
Nota dell’autore: le citazioni, dove non specificato, sono tratte dal film.
credit: Nasa
Giuseppe Nardoianni
Appassionato di cinema, legato alla fantascienza e all'ufologia;, ha collaborato dal 2000 come recensionista cinematografico, con Stargate, Stargate Magazine, Area 51, XTimes, e il quotidiano Cronache del Mezzogiorno (Salerno), Ha prodotto uno studio su Ufologia e Media per l'enciclopedia multimediale Armando Curcio.