LA FANTASCIENZA CINEMATOGRAFICA – LA SECONDA ETÀ DELL’ORO
Il saggio ripercorre un periodo della storia della fantascienza cinematografica, dalla fine degli anni Settanta a tutti gli anni Ottanta, particolarmente fecondo di titoli, in cui il genere raggiunge un successo di pubblico e critica mai toccato prima, per questo motivo considerato come una seconda età dell’oro del genere dopo quella degli anni Cinquanta. Un periodo iniziato nel 1977 con l’uscita nei cinema di Guerre stellari di George Lucas e di Incontri ravvicinati del terzo tipo di Steven Spielberg, nomi e film che grande influenza avranno negli anni a seguire.
Una popolarità tale da riuscire a piazzare diversi titoli ai primi posti del box office dell’epoca e da creare alcune delle icone cinematografiche più resistenti al passare del tempo. Personaggi come Darth Vader, i replicanti di Blade Runner, l’inarrestabile Terminator, lo xenomorfo di Alien, Robocop e molti altri che ormai anche il pubblico di non appassionati riconosce e che ancora oggi continuano a ritornare in film a loro dedicati. Anni che sono stati un passaggio fondamentale per la fantascienza cinematografica. Soprattutto negli adolescenti di allora, nel periodo della consapevolezza e del consolidamento dei gusti e delle preferenze, hanno lasciato un notevole imprinting.
L’opera non è strutturata cronologicamente, ma per temi portanti (fantascienza spaziale, post-apocalittica, distopica, intelligenza artificiale, alieni, etc.). Ogni capitolo prende quindi in esame un particolare filone fantascientifico e i film che meglio lo rappresentano. Le pellicole più importanti sono state esaminate in dettaglio in paragrafi appositi. Non manca un capitolo dedicato alla fantascienza italiana e alle serie televisive, anche animate, del periodo.
Roberta Guardascione ha realizzato la copertina e le illustrazioni che accompagnano i vari capitoli.
Dalla prefazione di Michele Tetro
Dopo la sua allucinante disavventura orbitale, in cui ha rischiato di essere inghiottita dal cosmo indifferente alle sorti umane, fatta a pezzi nella distruzione delle stazioni spaziali terrestri poste sulla letale traiettoria di frammenti orbitanti a velocità pazzesca, bruciata viva nella drammatica discesa sulla Terra a bordo di una capsula cinese ma soprattutto schiacciata mentalmente dalla percezione di un universo completamente avulso dall’esperienza umana, alieno, privo di coordinate di riferimento utilizzabili per recuperare una propria condizione esistenziale, la dottoressa Ryan Stone, naufraga che riesce a salvarsi per dedizione, coraggio, caparbietà e amore per la vita, emerge dalle acque che hanno accolto la sua navicella, guadagna la riva e si alza, tremante, affondando i piedi nudi nella sabbia umida della battigia, riconquistando così, con questo semplice gesto, la sua posizione (e centro gravitazionale) di essere umano. È il finale del film Gravity, di Alfonso Cuarón, del 2013, quindi al di fuori del range temporale compreso nell’analisi cinematografica per questo volume, ma non importa. Questa scena mi è parsa emblematica per giustificare l’esistenza di questo lavoro di Roberto Azzara, che si occupa di analizzare il cinema di fantascienza in quegli che sono stati gli anni di più rimarchevole successo del genere, a parità di contenuti ed effettistica speciale. Specificatamente, è importante al giorno d’oggi capire cosa sia esattamente la fantascienza, quale la sua natura fondamentale, i suoi temi portanti, i suoi stilemi… perché con il mescolamento di generi così di moda nei nostri tempi si è venuta a ingenerare una sorta di diffusa confusione tra le nuove generazioni di lettori-spettatori, che spesso perdono un po’ la bussola nel cercare di orizzontarsi in questo settore del Fantastico, così facile a contaminare e a essere a sua volta contaminato da altri. Come accade alla dottoressa Stone, che pur lavorando in orbita, in un ambiente ostile all’essere umano, ha comunque sempre davanti agli occhi il parametro fondamentale giustificante la propria esistenza (la Terra), può bastare un banale incidente per mandare in mille pezzi il mosaico accettato e basilare del proprio centro di gravità (fisico ed esistenziale), scardinandone le coordinare e ingenerando confusione, in cui è inevitabile perdersi, così oggi può accadere la stessa cosa quando stilemi narrativi o temi portanti di altri generi cinematografici vanno a collidere con quello propriamente fantascientifico, all’apparenza snaturandolo o trasformandolo in qualcos’altro. Allora sarà necessario riguadagnare le coordinate perse, affondare i piedi nella sabbia umida ma compatta di un centro gravitazionale che è sempre possibile riconquistare, magari con un po’ di fatica, e rimettersi in equilibrio. Mi sembra proprio che sia questo il compito che assolve il lavoro di Roberto Azzara, in modo efficace, lineare, tutt’altro che accademico. E proprio per questo motivi mi auspico che possa arrivare a trattare anche l’epoca precedente e quella successiva al periodo 1977-1989, con la stessa chiarezza espositiva e limpidezza d’intenti che risulterà certo più allettante e semplice da comprendere per il lettore-spettatore che tradurre dal cinese i comandi nella capsula di rientro in cui trova alloggio la dottoressa Stone, prima della pericolosa discesa finale sulla Terra, dove una volta di più a lei risulteranno manifesti e lampanti quei criteri di vita andati persi o solo sopiti e a noi risulterà più facile muoverci tra i mille sentieri che il genere cinematografico fantascientifico da sempre ci pone davanti, tutti da esplorare.
Dalla prefazione di Giovanni Mongini
In realtà non ci sarebbe molto da aggiungere dopo il mio caro e illustre collega. L’opera di Roberto è esemplare, Tetro ha ragione: una chiara esposizione senza frasi roboanti e criptiche alla portata di coloro che hanno vissuto quel periodo fecondo del cinema fantascientifico, alla portata di tutti quei giovani che non l’hanno vissuto direttamente e che lo conoscono solo grazie alle moderne tecniche di ricezione o che, addirittura, ne hanno solo sentito parlare. Un lavoro perfetto che però anch’io voglio considerare solo una prima tappa in estensione sugli altri periodi proprio per la chiarezza, l’arguta semplicità di com’è stato presentato alla quale si deve aggiungere la perfetta scelta dei disegni di Roberta Guardascione, tanto suggestivi e ben fatti che mi sono permesso di chiederne una copia da conservare nel mio archivio, congratulazioni vivissime all’autrice amante del blu. Il gruppo Facebook di Roberto poi, La Biblioteca del Cinefilo, è una miniera di confronti e d’informazioni, libera espressione di chi vuole postare le proprie idee, i propri mirabilia, insomma discutere con altri alieni il proprio mondo che è anche quello stesso in cui vivono. Insomma, un mondo apparentemente semplice che ha però molte sfumature e opere come questa sua sono dei parametri con i quali tutti dovrebbero confrontarsi: esperti o semplici appassionati e se c’è una cosa che ho imparato in tutti questi anni, è che non puoi mai essere un portatore di verità perché ne esistono infinite, tante quasi come le stelle dell’universo, quell’universo inteso come tale e come idee, che sono in realtà parte di noi, dei nostri mondi e del nostro modo di essere. Il tempo ti è amico, Roberto, continua così. Per quello che vale, hai la mia benedizione.
Roberto Azzara
(Caltagirone, 1970). Grande appassionato di cinema fantastico, all'età di sette anni vide in un semivuoto cinema di paese il capolavoro di Stanley Kubrick “2001: odissea nello spazio”. Seme che è da poco germogliato con la pubblicazione del saggio “La fantascienza cinematografia-La seconda età dell’oro”, suo esordio editoriale. Vive e lavora a Pavia dove, tra le altre cose, gestisce il gruppo Facebook “La biblioteca del cinefilo”, dedicato alle pubblicazioni, cartacee e digitali, che parlano di cinema.