FRANKENSTEIN, OVVERO IL MODERNO PROMETEO
“Ti chiesi io, Creatore, dall’argilla
di crearmi uomo, ti chiesi io
dall’oscurità di promuovermi…?”
[John Milton, Paradiso perduto]
Dovendo scrivere un articolo sul mostro di Frankenstein, una considerazione mi è nata spontanea: esistono dei personaggi talmente conosciuti, famosi e discussi, perché tradotti in film, serie televisive, fumetti e in altre forme espressive, che loro origine letteraria è dimenticata o conosciuta solo per nome. Come per Dracula o James Bond, è possibile cioè che la loro versione popolare e iconica surclassi quella letteraria, spesso notevolmente diversa.
Il Frankenstein, o per meglio dire la creatura di Frankenstein, del romanzo di Mary Wollestonecraft Godwin Shelley è sicuramente uno di essi.
Per esempio, leggendo il romanzo si può notare la differenza di come l’aspetto dell’essere artificiale creato da Victor Frankenstein è rimasto impresso nell’immaginario collettivo, rispetto a come è effettivamente descritto. Creatura mostruosa, capace di emettere solo grugniti e di provare solo sentimenti primordiali, così è in genere rappresentata nei film; personaggio tragico, alla ricerca di una felicità preclusagli dal suo mostruoso aspetto e in grado di esprimersi correttamente, nell’opera di Mary Shelley.
Frankenstein, ovvero il moderno Prometeo, che la scrittrice inglese realizzò quando aveva ancora 19 anni, tra il 1816 e il 1818, ha una struttura a scatole cinesi tipica del romanzo ottocentesco. Si presenta inizialmente sotto forma epistolare. Walton, il capitano di una nave in esplorazione del Polo Nord alla ricerca del leggendario Passaggio Nord-Ovest, scrive alla sorella del suo incontro tra i ghiacci con una strana coppia di personaggi: la creatura e il professor Frankenstein. Quest’ultimo, in un lungo flashback, racconta a sua volta i drammatici fatti che l’hanno portato a quelle latitudini. Un racconto dentro a un altro racconto che è stato spesso omesso dalle varie riduzioni televisive o cinematografiche. A memoria, quest’incipit lo ricordo citato in un TV movie del 1973 (Frankenstein – A True Story), nel film di Kenneth Branagh del 1994 (Mary Shelley’s Frankenstein) e in una miniserie TV del 2006 (Frankenstein).
Inizialmente, quindi, la vicenda è raccontata dal capitano Walton, poi il focus si sposta su Victor e la sua smania febbrile di primeggiare nelle scienze e creare la vita dalla materia morta. Successivamente l’attenzione si sposta sulla creatura e sul suo errare fino al ricongiungimento con Frankenstein e, infine, si giunge alla chiusura del cerchio, di nuovo con Walton, che è l’epilogo della vicenda.
Il romanzo stupisce anche per la quantità dei temi trattati, sia scientifici sia umanistici, e delle fonti d’ispirazione. Si parte, come visto, dall’accenno al fantomatico Passaggio Nord-Ovest ai primi studi sul galvanismo e sull’elettricità, nella convinzione positivista che la scienza tutto poteva spiegare e tutto poteva ottenere. Lo stesso sottotitolo riguardante la figura di Prometeo, punito dagli dei per aver donato il fuoco all’uomo, alludeva a questa sorta di arroganza. Non da meno, a proposito del tema della paternità rifiutata, commoventi appaiono i monologhi della creatura che esprimono tutta la rabbia e la frustrazione di un figlio rifiutato dal padre, e dei pregiudizi verso il diverso. La creatura, infine, cede al lato oscuro perché solo quello, in fin dei conti, ha conosciuto dagli esseri umani.
Tanta carne sul fuoco, insomma, che per un certo periodo fecero sospettare che il romanzo non fosse in realtà stato scritto da questa ragazza diciannovenne ma da qualcun altro, tipo il marito Percy Shelley o il suo amico, Lord Byron stesso. I sospetti erano ovviamente infondati, la giovane era infatti cresciuta in un ambiente culturale molto stimolante nel quale si trovava costantemente in contatto con i principali poeti e scrittori del tempo e da cui sicuramente attinse qualcosa. Il padre, ad esempio, era il filosofo e scrittore William Godwin e la sua casa era frequentata dal poeta e futuro marito Percy Shelley, fiducioso nei poteri creativi dell’uomo (lo stesso nome Victor è il nome con cui Percy piaceva farsi chiamare). Insieme conobbero Lord Byron e il drammaturgo Matthew Lewis. Altre fonti letterarie che si possono riscontrare sono il Paradiso perduto di John Milton, La tragica storia del Dottor Faust di Christopher Marlowe (Ingolstadt, la città in cui Victor studia è la stessa ambientazione dell’opera di Marlowe), le Metamorfosi di Ovidio e il già citato mito classico di Prometeo. L’ossessione con cui i due protagonisti si danno una caccia spietata vicendevolmente, infine, sembra anticipare quella del Capitano Achab verso la balena bianca nel Moby Dick di Melville.
Il personaggio ha dato luogo anche a quella che lo scrittore Isaac Asimov, il profeta della robotica, definì Sindrome di Frankenstein, cioè quel complesso di sintomi psicologici per cui il prodotto della scienza è visto con sospetto, nel terrore che possa rivoltarsi contro il suo creatore. In realtà, nel romanzo, la creatura non si rivolta contro il suo creatore, che in fondo continua ad amare fino alla fine, ma è il creatore che la rifiuta, scacciandola per l’orrore e il ribrezzo che gli provoca, precludendogli ogni speranza di affetto e felicità.
La leggenda narra che l’idea del romanzo venne a Mary nel 1816 durante una notte a Villa Diodati, sul lago di Ginevra, località in cui si trovava insieme al suo amante e futuro marito Percy, a Lord Byron e al medico personale di quest’ultimo, John Polidori.
Il tempo piovoso confinava spesso il gruppo di amici in casa e questi occupavano il tempo libero leggendo storie di fantasmi della letteratura tedesca. Byron propose allora per gioco di comporre loro stessi delle storie di fantasmi. Durante questa stessa sfida saltò fuori anche l’idea de Il vampiro, racconto lungo, iniziato da Byron ma sviluppato da Polidori, che probabilmente ispirò anni dopo Bram Stoker per la definizione del suo famoso vampiro, il Conte Dracula.
I fatti di quella famosa notte saranno narrati, in forma romanzata e horror, nel film di Ken Russell, Gothic (1986), mentre un biopic sulla vita della scrittrice è uscito nel 2017 con il titolo Mary Shelley – Un amore immortale, film che si concentra però sulla storia d’amore tra Mary e Percy.
Il cinema s’impossessò precocemente di questa immortale storia e già nel 1910 Thomas Edison ne produsse una versione di tredici minuti.
Sempre nel periodo del muto ci furono altre due riduzioni: l’americano Life Without Soul (1915) e l’italiano Il Mostro di Frankenstein di Eugenia Testa (1920), ambedue purtroppo andati perduti.
La fama mondiale arrivò con i film della Universal diretti dal britannico James Whale, Frankenstein (1931) e La Moglie di Frankenstein (1935), pellicole che crearono l’iconografia con cui la creatura, interpretata dal quasi esordiente Boris Karloff, è ancora oggi ricordata: testa squadrata, pallore cadaverico, elettrodi piantati nel collo e andatura barcollante. Tutte queste caratteristiche, compresa la nascita dal fulmine e il laboratorio dello scienziato, per niente descritti dalla Shelley, entrarono a far parte della mitologia del personaggio.
I film sono comunque dei piccoli capolavori gotici con influenze espressioniste. Soprattutto con il secondo, si toccano vette di genialità con i suoi personaggi tragici e grotteschi. La scena della resurrezione della creatura divenne una delle sequenze più mitiche e citate della storia del cinema. Elsa Lancaster, con i suoi capelli a turbante e le mèches a forma di fulmine, rimase nella memoria come un’icona pop. La scena in cui un magnifico Ernest Thesiger mostra al barone Frankenstein degli omuncoli in miniatura tenuti sotto vetro fu una delle trovate più fantasiose e iconoclastiche del cinema degli anni Trenta. Nonostante tutte queste azzeccate invenzioni, rimane l’accento messo sulla condizione di disperata emarginazione e solitudine della creatura, tema molto sentito dal regista, omossessuale in un’epoca in cui era poco tollerato esserlo. La figura del quasi dimenticato regista Whale è stata rievocata nel bel film di Bill Condon dal titolo Demoni e Dei (1998).
Tra gli anni Trenta e Quaranta, la Universal produce diversi sequel dei film di Whale di qualità sempre più scadente. Nel 1957 la casa di produzione inglese Hammer riprende in mano il personaggio nel film La Maschera di Frankenstein, che così ritorna nella natia Inghilterra. Il film, diretto da Terence Fisher, darà vita a un’altra sequenza di sei pellicole. Protagonista assoluto della saga è il professor Frankenstein, interpretato dal grande Peter Cushing, mentre la creatura, solo nel primo interpretata da Christopher Lee, passa in secondo piano discostandosi così dal romanzo.
La versione più fedele al romanzo è forse quella che Kenneth Branagh realizza nel 1994 sulla scia del Bram Stoker’s Dracula di Coppola: Frankenstein di Mary Shelley.
Il film segue, con qualche licenza, la trama della Shelley rispettando l’ambientazione sia storica sia geografica del romanzo e inserendo nella narrazione tutti quegli episodi rimasti spesso fuori dalle altre non poche trasposizioni prodotte fino a quel momento. Ritorna allora la figura del capitano Walton tra i ghiacci dell’artico; torna la governante Justine Moritz, accusata ingiustamente di essere l’assassina del fratello minore di Victor Frankenstein, William, e linciata dalla folla inferocita (nel film invece regolarmente processata e giustiziata); viene restituita dignità di personaggio tridimensionale a Elizabeth Lavenza, cugina e sposa di Victor; torna, soprattutto, la febbrile ossessione di Victor di superare i limiti imposti dalla natura, salvo poi pentirsi e abbandonare a se stessa la creatura cui ha dato vita. Anche la figura del mostro è notevolmente diversa dalle raffigurazioni a cui ci avevano abituato i film precedenti: non più il violento, triste, ciondolante e patetico disgraziato dal cervello guasto, ma una creatura dotata di favella la cui tragedia è di avere una mente estremamente intelligente racchiusa in un corpo che genera nel prossimo orrore e diffidenza. Per la prima volta, inoltre, la complessa relazione tra Frankenstein e la sua creatura è rappresentata come uno scontro tra pari intelletti.
Kenneth Branagh cura la regia del film e impersona Victor Frankenstein mentre la sofferta creatura è
interpretata da un Robert De Niro riconoscibilissimo (tanto che quando entra in scena, l’impressione è di vedere l’attore truccato da creatura e non la Creatura in sé). La ricostruzione scenografica è sontuosa, più barocca che gotica. Citazione quasi d’obbligo al classico di James Whale si espleta nella scena del risveglio della creatura, con Victor che vedendole muovere la mano esclama: “È vivo. È vivo!” Di contro, più che gotica, la scenografia risulta eccessivamente barocca e Branagh e De Niro offrono interpretazioni forse un po’ troppo sopra le righe.
Le ultime trasposizioni del romanzo risalgono al 2015 con i film Frankenstein di Bernard Rose e Victor – La storia segreta del dottor Frankenstein di Paul McGuigan. Il primo è un tentativo di aggiornare la vicenda del romanzo ai giorni nostri. Abbiamo quindi ingegneria genetica e stampanti bio-3D al posto di alambicchi e parti di cadavere. Nel secondo invece, nonostante il titolo, tutta la vicenda è vista attraverso gli occhi del gobbo Igor, vero protagonista del film, personaggio iconico che ormai fa parte della mitologia di Frankenstein (memorabile quello interpretato da Marty Feldman nell’omaggio/parodia del 1974 Frankenstein Junior) ma mai comparso nel romanzo.
FILMOGRAFIA
Frankenstein, J. Searle Dawley (USA, 1910)
Life Without Soul (USA 1915)
Il mostro di Frankenstein, Eugenia Testa (Italia, 1920)
Frankenstein, James Whale (USA, 1931)
La moglie di Frankenstein (Bride of Frankenstein), James Whale (USA, 1935)
Il figlio di Frankenstein (Son of Frankenstein), Rowland V. Lee (USA, 1939)
Il terrore di Frankenstein (Ghost of Frankenstein), Erle C. Kenton (USA, 1942)
Frankenstein contro l’Uomo Lupo (Frankenstein Meets the Wolf Man), Roy William Neill (USA, 1943)
Al di là del mistero (House of Frankenstein), Erle C. Kenton (USA, 1944)
La casa degli orrori (House of Dracula), Erle C. Kenton (USA, 1945)
Il cervello di Frankenstein (Bud Abbott, Lou Costello Meet Frankenstein), Charles T. Burton (USA, 1948)
La strage di Frankenstein (I Was a Teenage Frankenstein), Herbert L. Strock (USA, 1957)
La maschera di Frankenstein (The Curse of Frankenstein), Terence Fisher (GB, 1957)
Frankenstein 70, Howard W. Koch (USA, 1958)
La vendetta di Frankenstein (The Revenge of Frankenstein), Terence Fisher (GB, 1958)
La figlia di Frankenstein (Frankenstein’s Daughter), Richard E. Cunha (USA, 1958)
La rivolta di Frankenstein (The Evil of Frankenstein), Freddie Francis (GB, 1964)
Frankenstein alla conquista della Terra (Furankenshutain tai chitei kaijû Baragon), Ishirō Honda (Giappone, 1965)
Jesse James Meets Frankenstein’s Daughter, William Beaudine (USA, 1966)
La maledizione dei Frankenstein (Frankenstein Created Woman), Terence Fisher (GB, 1967)
Distruggete Frankenstein! (Frankenstein Must Be Destroyed), Terence Fisher (GB, 1969)
Operazione terrore (Los monstruos del terror), Tullio Demicheli (Spagna, 1969)
Gli orrori di Frankenstein (The Horror of Frankenstein), Jimmy Sangster (GB, 1970)
La figlia di Frankenstein (Lady Frankenstein) di Mel Welles (Ernst R. von Theumer) (Italia, 1971)
Dracula contro Frankenstein (Dracula vs. Frankenstein), Al Adamson (USA, 1971)
Dracula contro Frankenstein (Dracula prisonnier de Frankenstein), Jesús Franco (Francia, 1972)
Frankenstein 80, Mario Mancini (Italia, 1973)
Frankenstein – The True Story, Jack Smight (GB 1973)
Frankenstein e il mostro dell’inferno (Frankenstein and the Monster from Hell), Terence Fisher (GB, 1974)
Il mostro è in tavola… barone Frankenstein (Flesh for Frankenstein), Paul Morrissey (USA, 1974)
Blackenstein, William A. Levey (USA, 1974)
Frankenstein Junior (Young Frankenstein), Mel Brooks (USA, 1974)
Frankenstein all’italiana, Armando Crispino (Italia, 1975)
The Rocky Horror Picture Show, Jim Sharman (USA, 1975)
L’isola del dottor Frankenstein (Frankenstein Island), Jerry Warren (USA, 1981)
Frankenstein (Kyofu Densetsu: Kaiki! Furankenshutain), Yugo Serikawa (Giappone, 1981)
La sposa promessa (The Bride), Frank Roddam (USA, 1985)
Lo strano caso del dottor Frankenstein (Frankenstein’s General Hospital), D. Roberts (USA, 1988)
Frankenstein oltre le frontiere del tempo (Frankenstein Unbound), Roger Corman (USA, 1990)
Frankenstein 2000, Joe D’Amato (Italia, 1991)
Frankenstein: The Real Story, David Wickes (GB, 1992)
Frankenstein di Mary Shelley (Mary Shelley’s Frankenstein) di Kenneth Branagh (USA, 1994)
Frankenstein, miniserie in 2 puntate di Kevin Connor (GB, 2003)
Van Helsing , Stephen Sommers (USA, 2004)
Vampire Girl vs Frankenstein Girl, Yoshihiro Nishimura (Giappone, 2009)
The Frankenstein Theory, Andrew Weiner (USA, 2013)
I, Frankenstein, Stuart Beattie (USA, 2014)
Penny Dreadful, serie televisiva (USA, 2014)
Victor – La storia segreta del dottor Frankenstein (Victor Frankenstein), Paul McGuigan (USA, 2015)
Frankenstein, Bernard Rose (USA, 2015)
The Frankenstein Chronicles, serie TV, 2 stagioni, 12 episodi (GB 2015-2018)
Roberto Azzara
(Caltagirone, 1970). Grande appassionato di cinema fantastico, all'età di sette anni vide in un semivuoto cinema di paese il capolavoro di Stanley Kubrick “2001: odissea nello spazio”. Seme che è da poco germogliato con la pubblicazione del saggio “La fantascienza cinematografia-La seconda età dell’oro”, suo esordio editoriale. Vive e lavora a Pavia dove, tra le altre cose, gestisce il gruppo Facebook “La biblioteca del cinefilo”, dedicato alle pubblicazioni, cartacee e digitali, che parlano di cinema.