Fuori Tempo
Il Racconto della Domenica
A mia sorella
No, non andava bene ed io avevo smesso di combattere ormai da tempo.
Spiaggiato come una balena in un letto speciale, attendevo che il cancro finisse di colonizzarmi del tutto, o almeno quel tanto da interrompere le mie funzioni vitali. Respiravo ormai a fatica, emettendo rantoli liquidi e inquietanti anche per me stesso che li generavo, figuriamoci per gli altri.
Entrò mia sorella Clara, poverina. Lei.
Era molto più giovane di me e aveva in qualche modo tentato di assistermi, in quel tetro periodo finale della mia esistenza, dato che io non avevo nessuno. Mia moglie era morta molti anni prima ed io avevo preferito continuare la mia vita in beata solitudine.
Purtroppo per me, Clara non era tanto portata per accudire gli altri. Contrariamente ai tanti cliché sulle donne, lei era una teorica. Viveva principalmente nella sua mente e faceva un po’ fatica a interagire col resto del mondo. Dopo la laurea in fisica, era subito stata scelta dai suoi insegnanti per continuare gli studi e darsi alla ricerca.
La ringrazio per tutto il tempo che rubò a quei pressanti impegni, per seguire tutti i miei affari, ma non sapeva certo tirarmi su quando cadevo in depressione, cosa che nelle mie condizioni prima o poi arriva. Più prima che poi.
Anche in quelle circostanze, se vogliamo risolutive, la vedevo in estremo disagio.
«Come ti senti?» mi disse sporgendosi sul grosso lettone ad acqua. Dietro di lei vorticava un’infermiera del Centro in cui ero stato ricoverato per tirare le cuoia.
«Eh,» dissi io, col poco fiato che avevo. Il che voleva dire: E come vuoi che stia? La morte mi sta alle calcagna…
«Vuoi qualcosa? Posso aiutarti in qualche modo…?»
Per quanto mi costasse fatica, dovevo fare qualcosa per lei. L’ultima.
«Vai casa,» le dissi e tossii abbondantemente. «Vai fuori, vai a respirare un po’ d’aria di primavera anche per me che non vedrò l’estate. E poi non pensare più a me. Continua la tua vita…»
Se avevo imparato qualcosa da quella esperienza è che la gente ha un bisogno feroce di continuare il filo della propria vita senza esserne troppo distolto dagli altri. Tutto il loro equilibrio dipende da questo.
Lei mi guardò con degli occhi enormi, umidi, e per un attimo credetti che si sarebbe opposta, che avrebbe detto che il suo dovere era stare con me fino alla fine. Invece si chinò, mi diede un bacio, sussurrò qualcosa all’infermiera e uscì.
Sapevo che non l’avrei mai più rivista.
Il mio piano per risparmiarle quel mio tormento aveva funzionato, ma un po’ ci rimasi male lo stesso. Amen.
L’infermiera, ultimo contatto col mondo, girò più volte intorno al letto ed io mi sentivo sempre peggio. Intravidi che guardava in alto, sopra di me, e la sentii dire: «Ehi, la soluzione salina è quasi finita, Phil. Ora faccio un salto qui a fianco e ne prendo una di ricambio. Non si preoccupi, non la lascio solo…»
E se ne andò anche lei.
Ci metteva più tempo del previsto; non trovava la bottiglia, una collega l’aveva fermata per un pettegolezzo d’ufficio?
Ma io stavo sempre peggio, non respiravo più. Stavo per andarmene da solo, il che è meglio, perché la morte è un sacro schifo e se uno se ne deve andare non è carino che qualcun altro stia lì a guardarlo.
Me ne vado, me ne vado, mi dicevo tra gli spasmi. Ma non successe.
All’improvviso il dolore svanì e mi ritrovai a fissare quella stanza come se non l’avessi mai vista prima. Tutto era fermo e me ne convinsi quando vidi il pulviscolo dell’aria illuminato da un raggio di sole che entrava dalla finestra. Non si muoveva.
L’aria era trasparente e luminosa come non mai, fino a che, non lo credevo possibile, vidi entrare una figura. L’infermiera, pensai, ma non era lei. La riconobbi solo quando mi fu più vicino.
Era Clara, mia sorella. Ma era diversa.
«Che hai fatto?» le chiesi. «Sei invecchiata.»
Rise.
«Phil…» mi disse visibilmente commossa. «È bello rivederti.»
«Non capisco.»
«Sono appena uscita, vero?»
«Sì, ma eri vestita diversamente,» le dissi. «E, non avevi i capelli bianchi.»
«Mamma mia quanto sono bravi quei ragazzi!» esclamò, e per me la cosa non aveva ovviamente senso.
Mi prese una mano.
«Sai Phil, poco dopo che sono uscita da quella porta tu sei spirato ed io me ne sono pentita per tutta la vita. Scusa…»
«Ma no, io…» bofonchiai.
«Sai, non sapevo come fare, non sapevo cosa fare, cosa dire… Ero costernata, impotente, al limite di me stessa.»
«Non devi, non devi…»
«Ma poi…» il suo volto si illuminò. «Con gli anni proseguii i miei studi e feci delle scoperte che condussero alla possibilità di una specie di viaggio nel tempo.»
«Vuoi dire che sei venuta… dal futuro?»
«Non fisicamente. Ora possiamo far uscire la nostra coscienza dal flusso temporale e inviarla in qualsiasi istante temporale per esserne invisibili testimoni. Questo ha aperto infinte possibilità.»
«Ma ora sei qui, ti sto toccando…»
«Questo solo perché i miei tecnici si sono dati un gran da fare per riuscire a inglobarti nella mia matrice. Ora io e te siamo fuori del tempo, insieme…»
«E sei venuta a salutarmi? Che pensiero carino…» non era ironia. «Quanto puoi stare?»
«Ma non mi ascolti? Siamo fuori del tempo, questo istante può durare all’infinito. Il mio istituto sta spendendo una fortuna per darmi un secondo con te. Ma ora che ci siamo dentro, questo secondo potrebbe anche non finire mai.»
Ero confuso.
«Ma non sono qui per quel saluto che non sono riuscita a darti. Non basta. Posso fare molto di più.»
«Che intendi?»
Ma lei non rispose, mi prese per mano e mi trascinò via da quel letto d’agonia.
Volammo.
Vedevo strani colori e udivo una sorta di frusciare, come pagine di un libro che scorrono velocemente. Finalmente quella sarabanda si fermò e ci ritrovammo in una foresta così folta e fitta come non ne avevo mai viste.
«Vedi Phil, io non posso cambiare la tua storia, non posso salvarti. Ma prima che tu lasci questo mondo posso offrirti un’esperienza unica nel suo genere. Un’esperienza che val bene tutta una vita. Guarda…»
Si girò e mi mostrò cosa c’era dietro di lei.
Ciò che vidi valeva una vita per davvero.
In un lago acquitrinoso pascolavano degli animali maestosi.
«Brontosauri?!» esclamai.
«Meglio, sono dei diplodochi.»
«Vuoi dire che siamo venuti nel tempo dei dinosauri?»
«Esattamente. Vieni.»
Camminammo, anzi, più esattamente aleggiammo su quel paesaggio preistorico.
Vidi strane creature e qualcuna mi parve di riconoscerla.
Il tirannosauro, sapete, ha qualche piumetta sulla testa ed è… giallo! Ma un giallo brillante, come quello di una rana velenosa. O almeno, così era quello che vidi io, meglio non generalizzare.
Avevo desiderato tutta la vita di poterli vedere. Ed ora ero lì, in quel mondo meraviglioso.
«Ti è piaciuto?» mi chiese dopo un po’.
«Meraviglioso. Ed ora dove andiamo? Non dovremo già rientrare, spero?» non avevo davvero fretta di tornare in quel dolore definitivo.
«Te l’ho detto. Possiamo stare fuori del tempo quanto tu vuoi. E questo vale anche per il dove…»
«Egizi!» esclamai come un bambino alle prese con un nuovo gioco. «Sì, voglio vedere gli antichi egizi.»
Volammo ancora e come in un batter di ciglia eravamo sul Nilo.
C’era una grande piazza che dava sul fiume e gli egizi erano là, in tutta la loro eleganza.
C’era una cerimonia e al centro di essa si notavano due giovani riccamente agghindati.
«Siamo verso la metà del 1300 Avanti Cristo. Quello che vedi laggiù è Akhenaton che sta sposando Nefertiti.»
Quasi senza accorgermene volai vicino alla coppia, in preda allo stupore. E Nefertiti era bellissima.
Tornai da Clara e l’abbracciai.
«Grazie, che regalo magnifico,» le dissi commosso. «Ma come fate a fare questo?»
«Troppo noioso,» disse lei. «Goditi l’esperienza.»
«In verità, non ho parole… Ora posso davvero morire contento.»
«Ma che dici?» fece lei ridendo. «Abbiamo appena iniziato.»
E così dicendo mi prese di nuovo e ripartimmo.
Che viaggio! È proprio difficile dire quanto durò. Se sei fuori del tempo non lo senti trascorrere. Credo più di una vita intera. Non so… Non ci stancavamo, non provavamo noia o disagio, solo stupore e interesse.
Vidi i druidi raccogliere il vischio e gli etruschi venerare la loro dea madre.
Rimasi giorni e giorni a osservare Buddha che predicava, una volta ritornato a Kapilavatthu, sua città natale. Non capivo ciò che diceva ma non mi importava, perché la sua presenza era da sola un balsamo per la mia anima.
Clara stava di fianco a me, senza lamentarsi, né farmi fretta. Come neanche lei avesse fretta di tornare al flusso della sua vita.
Allora capii.
«Ma, dunque… Anche tu stai morendo!»
Lei sorrise, come liberata d’un peso. E mi spiegò: «Vedi Phil, nel mondo da cui vengo e che ho in gran parte contribuito a creare, non ci sono risorse per inviare tutti a spasso per il tempo. Allora è costume regalare questa possibilità a coloro che sono in fin di vita. Come vedi è anche un modo di donar loro una sorta di immortalità a piacere. Lo chiamiamo Il Gran Tour, come quello che facevano i giovani rampolli dell’antica nobiltà inglese.»
«Ma tu sicuramente, per mestiere, avrai potuto viaggiare tantissimo.»
«Esattamente; per questo, quando è venuto il mio momento ho chiesto delle risorse speciali per poter fare il mio Gran Tour insieme a te. Non potevano negarmelo.»
«E così quando io deciderò di tornare e morire, anche tu lo farai?»
«Sì, ma avremo potuto vivere insieme tutto quel tempo che ci è stato negato.»
«Andiamo!» esclamai e la trasportai via.
Vedemmo i crociati scontrarsi con gli arabi nelle guerre sante, la prima locomotiva che sferragliava nelle boscaglie campane, gli inca sacrificare innocenti affinché il sole potesse ricominciare a sorgere.
Vidi Vivaldi in concerto, Mozart, Paganini, e la Tempesta di Shakespeare alla sua prima rappresentazione. Vidi morire la regina Elisabetta prima e anche l’ultima – tanto per avere un esempio di come si muore in assoluta dignità. Vidi le astronavi che raggiungevano Marte, e l’accensione del primo computer.
Vidi i dischi volanti ronzare nelle notti di Roswell e Giulio Verne mentre scriveva del Nautilus. E tant’altro ancora.
«Dove andiamo?» mi chiese un giorno Clara.
Ed io la condussi al lago Trasimeno in un giorno particolare. Ero lì con mia moglie Lisa ed era stato il più bello della mia vita. Volevo riviverlo, così li seguii, mi seguii, fino al tramonto.
Clara non aveva desideri in merito, quelle cose le aveva già fatte.
«Non credi che il mondo non abbia più così tanti segreti per noi?» le feci notare a quel punto.
«Oh, anche con un tempo infinito, non riusciremo mai a scoprire tutte le sue meraviglie, Phil. Il segreto di una madre che trepida per la vita di suo figlio, un ciabattino che gioisce per gli stivali che ha appena creato, un ragazzo che fa il suo primo goal o che lo fallisce.»
«Eppure non credi che sia venuto il momento di esplorare il segreto più grande di tutti? Un segreto così grande che neanche la tua portentosa invenzione può svelare…»
«Il mistero della morte?»
«Proprio così,» le dissi. «Basta lasciarci andare, un istante difficile e passeremo la soglia.»
Il viaggio era finito e questo poteva essere vero per entrambi. Ci salutammo.
«Ti voglio bene.»
«Anch’io.»
Dicemmo. Ha importanza sapere chi disse cosa?
Un batter di ciglia e fui nel mio letto gommoso, in preda a dolori atroci. Per fortuna ora sapevo che non sarebbero durati a lungo. Ancora un istante e avrei saputo.
Oppure no.
© Giorgio Sangiorgi 2021
Giorgio Sangiorgi
Sangiorgi lavora e vive a Bologna. Dopo un esordio nel campo del fumetto, ha vinto alcuni premi letterari locali per poi diventare uno degli autori e dei saggisti della Perseo Libri Il suo libro "La foresta dei sogni perduti" ha avuto un buon successo di pubblico. Ora pubblica quasi esclusivamente in digitale e alcuni suoi racconti sono stati tradotti e pubblicati in Francia e Spagna.