Ricordi
Ricordo piuttosto bene l’incidente. Ero stanco dopo un giorno di lavoro massacrante. Quella rotonda pericolosa, gli occhi che si chiudono, quel tizio che mi taglia la strada, i miei riflessi che non sono più quelli di una volta. La macchina che si ribalta e quel pezzo di metallo che mi perfora il polmone destro. L’inutile corsa in Ospedale, la disperazione di mia moglie. Tutto che finisce in un attimo di distrazione.
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Passeggio da giorni per questo viale alberato, dietro casa.
Prima ho incrociato mio nonno che passava sulla sua bicicletta, quella che si era costruito con le sue mani, ne andava molto fiero. Mi ha sorriso e ha proseguito il suo percorso.
Poi mi sono affacciato alla finestra di un appartamento; ho visto la mia bisnonna che guardava me e mio fratello giocare ai videogiochi; era felice, gli occhi pieni di gioia mentre se ne stava seduta sulla sua poltrona rossa.
In lontananza vedo una terrazza enorme che dà su una pista di decollo di aerei. Ci sono io bambino a cavalcioni sul muretto con mio padre che mi cinge con un abbraccio e insieme guardiamo quegli enormi uccelli metallici che prendono il volo. Lo facevamo sempre il sabato mattina, non ne saltavamo uno, andare all’aeroporto era il nostro appuntamento fisso.
Ora sto guidando, arrivo al paesino sull’Appennino dove i miei nonni vanno in estate. Quando la nonna mi vede arrivare mi viene incontro tutta felice. Mi dice che ha comprato il pesce al mercato, quello che mi piace tanto.
Cambia l’immagine di nuovo. Ora sono con gli altri nonni, quelli paterni, siamo al mare, in estate. Sono un bambino felice che si guarda le scarpe che ha appena avuto in regalo. Sì, sono davvero bellissime.
Ora vedo me stesso a una scrivania in un ufficio. Sbuca mia madre e mi sorride felice. Mi ha portato con lei e ha passato tutto il tempo a farmi conoscere i suoi colleghi. Le brillano gli occhi, è orgogliosa di me.
Adesso è il tempo a cambiare, inizia a piovere forte, scoppia un temporale, mi riparo sotto un piccolo portico. C’è un locale, il nome mi è familiare. Mi affaccio alla vetrina e vedo me stesso insieme a una bellissima ragazza dai capelli rossi. Lei diventerà mia moglie fra tre anni. Stiamo bevendo qualcosa di caldo sulla terrazza che dà sul canale. Quello è il nostro primo incontro fuori dal lavoro. Quella stessa sera ci baceremo. Non ci lasceremo più.
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Non so quanto sia passato, ma ecco che compare una luce. La vedo chiaramente perché si è fatto buio, non sono più arrivati altri ricordi.
Penso che sia ora di andare. Mi viene istintivo andare verso quel bagliore giallo, non saprei che altro fare.
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Vengo sollevato di peso da qualcuno, o da qualcosa.
Ho tanta voglia di piangere e non mi trattengo.
Non so più chi sono, dove sono, quando sono.
Ma ho voglia di scoprirlo.
Sento solo una voce che dice: “È un bel maschietto”
Simone Orlandi
Nato nel 1985 a Bologna, città in cui vive attualmente. Impiegato in una società di telecomunicazioni e laureato in giurisprudenza. Da sempre lettore accanito, nel 2020 le prime due pubblicazioni. Sempre nel 2020 è tra i finalisti del Castel Nero Grasparossa Noir Festival. A inizio 2021, il racconto “L’astinenza ai tempi della quarantena”. A fine 2021 vengono pubblicati “Luce”, e “Ricordi”.