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Attraverso la Radio del Tempo di Stanton A. Coblentz

Attraverso la Radio del Tempo di Stanton A. Coblentz

Mondi Passati – Vintage

 

(Through the Time-Radio, Marvel Science Stories, agosto 1938)

Traduzione Mario Luca Moretti © 2020

Sopra le foglie dei pini che affollavano la collina dell’isola di Manhattan, il sole d’inverno sorgeva in uno splendore nitidissimo. Da qualche parte in mezzo alla foresta si sarebbe potuto udire l’ululato di un lupo, il ruggito di un orso, la corsa di qualche roditore nel sottobosco; ma lontano, sulle alture ricche di foreste, e sui pendii alberati al di là dei fiumi non navigati e della baia, si sarebbe vista l’immacolata radura, senza un solo segno del passaggio dell’uomo da quelle parti. Lo Hudson e lo Harlem, in quel remoto inverno del 41° secolo, erano corsi immacolati sotto le cui lastre di ghiaccio grandi moltitudini di pesci giocavano e nuotavano; nessun ponte attraversava le loro placide distese, e nessun mattone o trave d’acciaio, nessuna traccia di cemento o malta macchiava le loro banchine ricche di vegetazione.

Un’ora o due dopo l’alba, la quiete fu disturbata da un evento insolito. Fu evidente nell’eccitazione con cui i gabbiani volteggiavano e gridavano; due grandi aquile nere manifestarono il loro interesse roteando a un’enorme altezza sopra la vasta e scintillante distesa dello Hudson. In lontananza lungo il fiume apparve un oggetto che nessuno degli abitanti della foresta aveva mai visto prima. Era il primo vascello a solcare quelle acque da molti secoli: lungo più di 20 metri da prua a poppa, con l’alta prua tipica di una nave vichinga e un rivestimento bianco come tela. A occupare il suo unico ponte, si sarebbe notato solo un gruppo di uomini vestiti di pelliccia – non più di 12 o 15 in tutto – e, a un esame più vicino, si sarebbe notato che avevano tutti i visi grassi e rotondi, i scintillanti occhi obliqui, le fronti piuttosto basse, i nasi piatti e i capelli neri tipici degli Esquimesi.

Eppure, che quelli non fossero i figli di una civiltà primitiva era evidente da diversi fatti: la loro nave, sospinta da qualche forza meccanica, si muoveva senza fatica a una velocità di 10 o 12 miglia all’ora; disponevano di vari quadranti d’acciaio, fiale e altri dispositivi che potevano essere considerati solo come strumenti scientifici; e molti di loro passavano il tempo a consultare documenti stampati nero su bianco che mostravano i caratteri di una qualche lingua civilizzata.

***

A un miglio dal punto in cui lo Hudson si allargava nella baia deserta, gli stranieri si fermarono, esitarono e, dopo un momento voltarono il vascello verso la spiaggia orientale e lo diressero su un banco di neve, in una maniera tale che indicava come la nave avesse capacità anfibie. Poi, uno per uno e in silenzio scesero a terra, slacciarono le loro pellicce (perché la temperatura, in quel limpido giorno di gennaio, era ben sopra lo zero), e si guardarono intorno con occhi scintillanti di aspettativa.

Ma nessuno di loro disse una parola, fino a che il capo – un uomo di un metro e ottanta, dalle guance rosee, che rispondeva al nome di Ar-glar – non ebbe ispezionato i dintorni con un’aria soddisfatta, per poi farsi sentire in tono gutturale:

“Amici miei, questo è il posto. Abbiamo viaggiato per molti giorni dalle nostre case nel lontano Nord lungo pianure, laghi e fiumi, sperando di trovare le rovine della mitica capitale dell’antichità. E ora qui, in questa foresta del sud, arriviamo alla fine del nostro viaggio. Sapete quanto sia importante la nostra missione. Voi sapete che noi, con la nostra civiltà artica, che si è sviluppata per più di 2000 anni, ci siamo a lungo ritenuti gli unici abitanti del globo; abbiamo a lungo creduto che le regioni a sud del Labrador fossero troppo calde per sostenere la vita umana.

“Ma voi sapete anche che circolavano voci di una grande civiltà prosperata nel sud prima che i nostri antenati prendessero la supremazia. La tradizione ci racconta che essa espresse prodigi grandiosi; che le sue torri toccavano il cielo e i suoi macchinari dominavano la forza delle acque e delle rocce della Terra; e che, al picco della sua potenza, distrusse se stessa. Ma il nostro popolo, non essendo credulone, ha sempre riso di queste storie. Solo di recente siamo stati capaci di decifrare le iscrizioni di un antico monumento che parlava di una città che sorgeva sulle sponde di un fiume vicino all’oceano, esattamente dove siamo ora. E così noi, i membri di una spedizione scientifica esplorativa, dobbiamo fare ogni sforzo per trovare i resti di quell’antica civiltà.”

Dopo aver fatto questa dichiarazione, Ar-glar diede alcuni brevi ordini; e i suoi seguaci rientrarono nella loro nave arenata e ne trassero una varietà di strumenti, alcuni dall’aspetto simile a bussole, barometri e termometri, e altri dall’aspetto di vanghe, erpici e altri utensili di scavo.

Strani e variegati erano i commenti degli uomini al lavoro. “Secondo me, non troveremo niente,” affermò il paffuto Bo-glub, il più giovane del gruppo, indicando gli alti filari di alberi al di là del fiume. “Come potrebbe esistere un essere umano in una natura così selvaggia?”

“Oh, non esserne tanto sicuro,” replicò lo smunto Blum-tar, il nocchiero. “Dicono che questi antichi selvaggi fossero coriacei, e potevano sopportare qualsiasi cosa.”

“Come potessero trovare cibo a sufficienza là dentro, non riesco a capirlo,” commentò un terzo membro del gruppo. “Non vediamo un falò o un igloo da migliaia di miglia.”

Nel frattempo la maggior parte di loro, borbottando e chiacchierando in toni amichevoli, si prepararono a seguire il loro capo in un’esplorazione all’interno. Ma pochi immaginavano quale impresa li attendesse. Aprire un sentiero attraverso quel sottobosco inesplorato si rivelò a volte impossibile; dovevano tagliare con le asce gli arbusti e gli alberelli che ostruivano il passaggio, mentre galli e conigli impauriti fuggivano di fronte a loro. Passò più di un’ora per avanzare nel primo chilometro; poi, annaspando e sudando nonostante il freddo dell’aria di gennaio, si concessero una sosta, già stanchi e scoraggiati.

“Non vedo dove questo ci porterà,” si lamentò Bo-glub, quando, evocando nostalgiche visioni dei familiari ghiacciai della Groenlandia, si sedette a riposare tra gli arbusti nel cuore dell’isola di Manhattan. “Per tutte le vele dei Mari del Nord! Non capisco perché mai un essere umano vorrebbe vivere qui!”

“Ricorda che non tutte le razze possono aspettarsi di raggiungere i nostri alti livelli di civilizzazione!” ribatté il capo Ar-glar. E fu proprio in quel momento che i suoi acuti occhi a mandorla s’illuminarono per una scoperta.

“Per le sacre zanne del tricheco! Che cos’è quello?” esclamò all’improvviso, indicando un’evidente montagnola ovale che, coperta di alberi e cespugli innevati, si stagliava come una protuberanza bianca sopra l’isola. “Quella non mi sembra una formazione naturale. Cominciamo a scavare lì.”

***

Senza dire una parola, gli uomini si misero al lavoro con picconi e vanghe… E dopo molte ore, trascorse scavando quasi senza sosta, cominciarono a mettere in evidenza ciò che erano venuti a cercare.

Il loro primo trofeo, scoperto a una profondità di due metri, li fece gridare di giubilo. Sebbene privo di valore intrinseco, quella piccola cosa, piatta e luccicante, scheggiata dal colpo di una piccozza, era per loro un tesoro d’inestimabile valore. Con grande attenzione la misero in una custodia, per portarla a casa dove i loro scienziati l’avrebbero esaminata, per poi arricchire i loro musei. Essi poco poterono capire da quel trasparente materiale verdastro se non che si trattava di un pezzo di vetro di finestra rotto!

Altri reperti furono prodotti in crescente abbondanza, nel corso dei giorni successivi. Si abbracciarono con grida d’esultanza alla scoperta dell’ammaccata cassa di un orologio in oro (un metallo che non avevano mai visto prima); si emozionarono di gioia alla vista di alcuni mattoni fragili e bruciacchiati, e di un frammento d’osso mummificato; andarono in estasi per un orecchino di platino appiattito e per dei rimasugli di stoviglie frantumate. Si andavano accumulando prove che l’isola di Manhattan era stata davvero abitata!

Ma nonostante tali stupefacenti scoperte, non tutti i membri della squadra parevano soddisfatti. “Vi dico,” ripeteva Bo-glub, col suo tipico scetticismo, “che i nativi di questo posto dovevano essere degli aborigeni di bassissimo livello. Vedendo ciò che abbiamo dissotterrato, come avrebbero potuto costruire torri che toccavano il cielo?”

“Ma tu dimentichi il tempo trascorso,” gli replicava Ar-gar, pazientemente. “L’acciaio si sarà arrugginito in molto meno di 2000 anni, le torri sono crollate e ricoperte dai sedimenti di molti secoli. L’unica cosa che non riesco a capire è che cosa abbia spopolato la nazione alla fine. Forse un cambiamento climatico. Forse qualche grande pestilenza. Forse la popolazione non era adatta alla sopravvivenza. Ma a tempo debito lo scopriremo. Quando avremo finito di scavare, daremo uno sguardo con la  radio del tempo. E allora sapremo tutto.”

“Sì, allora sapremo tutto!” borbottarono gli altri, con sospiri d’approvazione, mentre si piegavano con i loro picconi e le loro vanghe.

Comunque, ci vollero parecchie settimane prima che questa profezia si avverasse. Allora, dopo aver scavato per molti acri e non avendo fatto nessuna scoperta più eccitante di una dentiera ingiallita, alcune pietre da costruzione bruciacchiate e qualche frammento sparso di bottiglie di vino, il capo-squadra diede un ordine che mandò tutti i suoi uomini in entusiastico sollucchero.

Obbedienti, si affrettarono alla nave, e ne portarono fuori un curioso strumento, delle dimensioni e della forma di una cassapanca, ma composta da un intrico di tubi metallici, fiale e bacchette, più complicato di qualunque altro strumento di qualunque era. Tirando e spingendo, rimorchiarono l’apparecchio lungo una strada che avevano costruito lungo il terreno innevato; e, dopo circa due ore, raggiunsero il sito dei loro scavi, dove depositarono il macchinario al centro di un pozzo profondo tre metri, al centro del deposito dei loro ritrovamenti archeologici. Sopra lo strumento eressero uno schermo largo 4 metri, composto da un telo dal bianco luminoso; nelle piccole prese ai lati della macchina sistemarono una serie di cavi che terminavano in piccoli aggeggi simili a telefoni, ogni uomo appoggiò sulle orecchie due di questi; poi Ar-glar schiacciò un piccolo pulsante e fu salutato da una serie di lampi blu che dimostravano come le batterie immagazzinate fossero del tutto funzionanti.

“Amici miei,” dichiarò il capo-squadra, mentre i suoi uomini rimasero in attento ascolto, togliendosi le cuffie, “amici miei, non posso garantire il successo di questo esperimento. Ma la radio del tempo – o meglio, la tele-radio del tempo – ha già ottenuto notevoli risultati. Senz’altro conoscete i principi che la definiscono. Molto tempo fa i nostri scienziati dimostrano che il tempo altro non è che la quarta dimensione dello spazio; di conseguenza, potendo costruire radio che penetrano le tre dimensioni dello spazio, perché non costruire una macchina che attraversi anche la quarta dimensione, e ci mostri gli eventi passati e futuri? Non ci siamo ancora riusciti con il futuro, ma abbiamo spesso captato onde radio dal passato, e crediamo che uno strumento abbastanza sensibile rivelerebbe gli eventi avvenuti in un particolare luogo durante le epoche. Infatti è assodato che ogni evento provoca vibrazioni temporali nell’etere sul luogo dove è successo; vibrazioni che pulsano attraverso le epoche, indebolendosi sempre più, proprio come si indeboliscono le comuni onde radio attraversando molte miglia. Certo, le onde temporali, come le altre onde radio, sono impercettibili senza un meccanismo sintonizzato con esattezza. Cominciamo ora?”

“Sì, sì, cominciamo, cominciamo!” gridarono gli uomini.

***

Quel semi-cerchio di esploratori avvolti nella pelliccia era una visione strana, in piedi davanti allo schermo bianco, con le cuffie premute sulle orecchie; attorno a loro i pini e le cicute congelate crepitavano al vento di febbraio. Ma infinitamente più strane erano le immagini che avrebbero visto e i suoni che avrebbero ascoltato di lì a poco.

Ancora una volta Ar-glar toccò il pulsante e ancora una volta esplosero le scintille azzurre; poi, di colpo, si udì un brontolio nelle cuffie, e un disco luminoso rifletté ombre mobili sullo schermo.

“Ancora un po’ di pazienza”, esortò il capo-squadra, mentre le sue dita manovravano un quadrante d’acciaio. “È difficile sintonizzarsi sulla lunghezza d’onda giusta – Ah ecco! Siamo andati indietro di 500 anni!… 700!… 1000!… 1200!… Questa statica del tempo è insopportabile!… 1500! Certo, non vediamo ancora niente. Ancora un po’ di pazienza! Tutto si metterà a posto!”

Le ombre oscillanti sullo schermo andavano definendosi sempre più; per un attimo emozionante, esse furono chiaramente definite, poi sfarfallarono e sparirono; quindi di colpo ricomparvero. “1800 anni fa!” mormorò Ar-glar… “1900 anni!”

Per mezzo secondo le ombre divennero di nuovo chiare. Ma le loro forme erano quelle di alberi mossi dal vento – pini che avrebbero potuto essere un semplice riflesso di quelli che oscillavano in quel momento alle spalle degli uomini.

“2000 anni! 2050!” mormorò Ar-glar, più a se stesso che ai suoi uomini, nessuno dei quali poteva sentirlo. “2000 e…”

Di colpo l’uomo rimase senza fiato, annaspando per lo stupore. Per un qualche incantesimo le ombre si misero a fuoco tutte insieme, con la precisione di un’acquaforte. E Ar-glar e i suoi uomini videro immagini che nessuno della loro epoca aveva mai visto o immaginato nel più sfrenato dei sogni.

Per un momento restarono in un silenzio interrotto solo da gemiti di stupore. Poi, dall’irreprensibile Bo-glub arrivò un improvviso scoppio di riso isterico.

Sullo schermo davanti a loro si vedevano file di palazzi rettangolari, ognuno con 10, 20 o 30 piani di finestre, case affollate le une contro le altre come casse da imballaggio in un magazzino.

“Per i sacri baffi di un tricheco! Che spasso! Che spasso!” ruggì Bo-glub. “E davvero la gente viveva in case del genere?”

“Che situazione ridicola!” urlò Blum-tar in risposta. “Vivere in case simili? No di certo! Come avrebbero potuto arrivare in cima?”

“Mi ricordano i grandi tumuli funebri”, fece Wo-zun, il timoniere. “Proprio come questi, meravigliosi. Sono grandissimi! Che forza! I loro costruttori dovevano essere pieni di talento!”

“Forse – ma che rumori tremendi!” obbiettò Blum-tar. “Per gli iceberg degli stretti del Nord! Grida, fischi, guaiti e ruggiti! Sembra che tutta la nazione fosse abitata da orsi polari e lupi!”

“Sembra davvero così,” ammise Ar-glar, mentre guardava incuriosito i veicoli a piccole ruote che correvano avanti e indietro ai piedi delle torri. “Ma forse questo popolo antico aveva un udito diverso dal nostro. Questa forse era musica alle loro orecchie.”

Poi, dopo un breve silenzio, proseguì:

“Comunque scopriamo di più sul loro conto. Ora sposterò il quadrante in avanti molto lentamente, avanzando solo di settimane o mesi ogni volta. Quando arriveremo a qualche evento importante, l’indicatore di pressione farà un salto, dovuto all’aumento di forza delle vibrazioni temporali.”

***

Furono spese ore intere nella successiva fase di indagini – ore durante le quali, con meticolosa attenzione, fu preso in esame solo un quarto di secolo. Ma non si vide nulla che fosse davvero illuminante; anzi, la statica fu così intensa che per un po’ gli uomini non poterono vedere o sentire nulla. Alla fine, esausti per lo sforzo, sul punto di chiudere la giornata, il quadrante argenteo del registro di pressione aumentò di colpo d’intensità e così capirono che erano arrivati in contatto con qualcosa d’importante.

Incantati, affascinati, spaventati, rimasero inchiodati tutti guardando e ascoltando con i muscoli tesi e gli occhi sbarrati. Finalmente si stavano abbeverando di quella rivelazione tanto a lungo attesa.

Lo schermo, sebbene fosse disturbato in maniera oltremodo irritante, era attraversato da una serie di puntini e macchioline vagamente distinguibili come masse di esseri umani. Questi schizzavano avanti e indietro ai piedi delle torri in profonda agitazione; mentre un terrificante pandemonio di sirene, urla, grida, strepiti, schianti e detonazioni esplodeva nelle cuffie alle loro orecchie. Per qualche minuto la ragione di tanta eccitazione non fu evidente; poi di colpo uno sfrecciante sciame di apparecchi neri, simili a gigantesche libellule, scivolò nel campo visivo nel cielo sopra le torri. Il loro numero era incalcolabile, e molti di  essi erano veloci quasi come meteore; e solo quando, ogni tanto, uno di loro restava sospeso in aria con un rapido battito d’ali, si riusciva a vedere che erano gusci d’acciaio vuoti – aeroplani senza operatori umani!

“Evidentemente sono guidati da onde radio a grande distanza,” mormorò Ar-glar, quando, teso come una corda, si concentrò a seguire la scena.

Da qualche parte in mezzo ai palazzi, lampi intermittenti volavano verso il cielo; gli osservatori poterono solo intuire la livida colorazione rossa, dal momento che tutte le cose sullo schermo apparivano nere e grigie. E di quando in quando una delle macchine-libellule, fermandosi di scatto con un tremito convulso, esplodeva in fiamme e spariva alla vista dietro le torri scure.

Ma dalle macchine superstiti, che continuavano a volteggiare e roteare avanti e indietro in innumerevole moltitudine, si vedevano saettare verso il basso piccoli zampilli e lampi di luce; ogni volta che uno di questi andava a segno, il tetto del palazzo colpito s’illuminava splendente, e crollava in briciole. I detriti cadevano per le strade in grandi e confusi mucchi informi, formando alte pile; e dalle vette dei grattacieli dardeggiavano alte fiammate, con gemiti che potevano essere uditi al di sopra degli schianti e degli scoppi delle bombe esplose, assieme ai lamenti e alle grida delle persone terrorizzate.

“Allora è tutto vero! Tutto vero!”, singhiozzò Ar-glar, togliendosi le cuffie per un istante, come per cercar sollievo dal tremendo frastuono. “Tutte le vecchie tradizioni dicono il vero! La storia di una razza che si auto-distrusse! Una razza che si ridusse in cenere!”

“Ma perché avrebbero dovuto fare una cosa simile?” domandò Wo-zun, anche lui togliendosi le cuffie. “Perché? Un tale abominio! È impossibile capirne il motivo!”

Ar-glar aprì la bocca per replicare – ma a questo punto l’attenzione dei due uomini fu richiamata dagli stupefatti urli e mormorii dei loro compagni. “Guardate! Guardate! Per i bianchi Dei, lo vedete? Che cosa può essere? Per i…”

Ar-glar e Wo-zun riportarono la loro attenzione sullo schermo – ma solo un istante troppo tardi! “La statica! Quella maledetta statica!” gridarono. Un enorme, irregolare sfarfallio aveva del tutto ostruito la scena!

Quando, dopo molti minuti, l’interferenza cessò, lo spettacolo era del tutto cambiato. La flotta di libellule era quasi scomparsa dal cielo; ma a livello della strada, sui marciapiedi cosparsi di fumanti rovine carbonizzate, volteggiava una alta nuvola di fumo nero in spire serpentine. Sparpagliandosi con sconcertante velocità, il fumo occupò ogni strada e passaggio; migliaia di uomini, donne e bambini, fuggivano alla rinfusa come belve spaventate, davanti al fuoco, spingendo, sgomitando, gridando, scalciandosi a vicenda, cadendo uno sull’altro, camminando uno sopra l’altro nella fuga frenetica. Ma la nuvola di fumo, come spinta da una forza demoniaca, si spostava a una velocità superiore a quella dell’esausta folla concitata; spietata, avvolse i fuggitivi più lenti, che, con grida di terrore, ansimando senza fiato e barcollando, inalarono i fumi velenosi.

“Un primo piano! Presto, un primo piano!” gridò Ar-glar, quasi fuori di sé nella sua agitazione terrorizzata. E le dita agili manovrarono le viti e le leve della radio del tempo; e all’istante, grazie a uno specchio ingranditore, le figure sullo schermo si allargarono fino a che gli individui risultarono riconoscibili nella moltitudine.

***

Ma che individui! Uno sguardo fu sufficiente. Per il resto della sua vita Ar-glar dovette convivere con la visione di quelle creature avvelenate; dei bambini, i volti sconvolti da smorfie quasi demoniache, che si contorcevano a terra nei loro spasmi finali; uomini che, con gli occhi gonfi e l’espressione asfissiata degli impiccati, barcollavano e cadevano e  venivano schiacciati dai talloni dei loro simili impazziti; delle donne che, spettrali come caricature sfigurate dalle maschere anti-gas, erano sopraffatte dal loro indiscriminato nemico e s’aggiungevano ai crescenti mucchi di caduti, tra i quali spuntava tragicamente, qua e là un occhio malconcio e semi-chiuso, o emergeva un arto che si agitava spasmodicamente…

“Basta! Non guardiamo più!” strillò Blum-tar; mentre il capo-squadra, girando ansiosamente un’altra leva, tolse alla vista quell’incubo in primo piano…

“Grazie agli Dei, tutto questo finì 2000 anni fa!” singhiozzò Ar-glar, profondamente sollevato.

“Grazie agli Dei, gli uomini oggi sono più civilizzati!” esclamò Bo-glub.

Mentre stava parlando, le torri subirono una nuova trasformazione. Sebbene sbrecciate e malconce in molti punti, esse restarono in gran parte intatte… fino a che all’improvviso le orecchie degli uomini furono colpite da una nuova serie di detonazioni, così forti da non potersi sopportare. Era come se una mano gigante, uscita da sottoterra, avesse afferrato tutta la grande massa di edifici e l’avesse scagliata in cielo; tutti gli edifici balzarono in aria come grandi sassi allo scoppio della dinamite; per un’interminabile frazione di secondo sostarono a metà strada fra cielo e terra; poi, tutti insieme si girarono e si rovesciarono, i muri si frantumarono, i tetti si sparsero in mille direzioni; gli scheletri di acciaio temprato apparvero con scatti secchi e contorsioni tra le fiamme mostruose e i neri pennacchi di fumo, come se tutto il folle groviglio si ricomponesse sul terreno in rovina.

“Basta! Basta! Basta! Abbiamo visto abbastanza!” gridarono all’unisono tutti gli uomini; e Ar-glar, spinse un pulsante per chiudere la radio del tempo, piangendo al pensiero di ciò che aveva visto.

Scese il silenzio – un lungo, pesante silenzio durante il quale gli uomini si guardarono in faccia con espressioni ansiose e spaventate.

A quel punto Ar-glar, il viso tirato e pallido, dichiarò lentamente:

“Allora non sono veri, dopotutto! Le tradizioni di cui ridevano i nostri padri dicevano meno della metà della verità!”

“Meno della metà della verità!” concordò Blum-tar. “Però vedete? I Pazzi del Sud non erano solo mostri mitici! Sono esistiti davvero! Con il gas velenoso e le malattie si sono spazzati via da soli fino a che non è rimasto nessuno – neanche uno! – e noi Esquimesi abbiamo ereditato la Terra!”

“La sopravvivenza dei più adatti!” mormorò Ar-glar; mentre, girandosi di lato con impazienza, cominciò a ripiegare le leve e gli accessori della radio del tempo. “Su, ripartiamo!” ordinò. “Questo posto è maledetto! Non dobbiamo contaminarci rimanendo qui, con il rischio che l’inquinamento del passato entri dentro di noi!”

Con movimenti frettolosi gli uomini abbassarono lo schermo bianco e si prepararono a riporre la radio del tempo.

“Non conosciamo la causa,” rifletté Ar-glar mentre lavoravano, “ma questi antichi barbari furono affetti da una qualche malattia che li ha spinti a volersi uccidere a vicenda. Sembra una cosa simile all’idrofobia che fa impazzire i nostri cani. Questo è ciò che penso, amici miei. Quando ritorneremo alle nostre belle case, non spaventiamo i nostri connazionali raccontando ciò che abbiamo visto. Altrimenti anche loro potrebbero voler venire a indagare; e – chissà – qualche germe dell’antica malattia potrebbe essere rimasto nel terreno e loro potrebbero contrarlo e finire con il distruggerci tutti. Come è successo a quei vecchi pazzi. Perciò diciamo che non abbiamo trovato niente. Gettiamo via tutti i nostri reperti, non importa quanto preziosi siano per i nostri musei.”

“Parole sagge! Parole sagge!” mormorò Blum-tar; e tutti annuirono in accordo. “Che i Pazzi del Sud rimangano solo una favolosa leggenda!”

***

Un’ora dopo, gli esploratori erano accanto al fiume, intenti a gettare solennemente nelle onde tutti gli oggetti accumulati in settimane di lavoro; i frammenti di vetro, i pezzi di stoviglie, le ossa mummificate, i mattoni bruciati, i pezzi ammaccati di platino e oro…

Il mattino dopo, di buon’ora, si sarebbe potuta vedere la nave vichinga, con il suo fasciame bianco, spingersi lontano dalle spiagge dell’isola verso nord, lungo la dolce corrente. Procedeva sempre più in fretta, mentre due grandi aquile volteggiavano al di sopra incuriosite; dopo mezz’ora la nave era solo un puntino scintillante, che di lì a poco sarebbe scomparso del tutto. E ancora una volta la pace di quell’estremo isolamento avrebbe avvolto i pendii alberati e i fiumi non navigati e la baia; e nella solitudine della radura incontaminata non si sarebbe visto alcun segno del passaggio dell’uomo in quei luoghi.

Radio del Tempo: Stanton CoblentzL’AUTORE

Stanton Arthur Coblentz (1896-1982) fu uno scrittore e poeta statunitense. Pubblicò le sue prime raccolte di poesie negli anni ’20 e i suoi primi exploits nella fantascienza furono il racconto The Sunken World (1928) e il romanzo The Wonder Stick (1929). I suoi principali interessi furono la poesia, la storiografia e soprattutto la critica letteraria, genere quest’ultimo per il quale scrisse vari volumi che lo consacrarono come uno dei più autorevoli critici americani. Benché secondaria, la sua attività di fantascientista fu comunque abbastanza cospicua: 17 romanzi e circa 80 racconti.

Mario Luca Moretti
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Altri interessi oltre al cinema e alla letteratura SF, sono il cinema e la la letteratura tout-court, la musica e la storia. È laureato in Lingue (inglese e tedesco) e lavora presso l'aeroporto di Linate. Abita in provincia di Milano

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