Tra una guerra stellare e l’altra
La necessità della Disney di sfruttare il franchising di “Guerre Stellari” sta generando molte cose di un certo interesse, sulle quali, forse, è utile ora soffermarsi.
Comincerei dall’ultima in ordine temporale, sia come uscita che come cronologia della saga: The mandalorian; ma per farlo dovrò tornare all’uscita del primo film della Saga del 1977.
Andai coi miei amici a vederlo in un cinemino di periferia, perché allora quelle perle c’erano ancora ed era lì che andavano le persone comuni, dato che la “seconda visione” costava molto meno della “prima visione”, per molti un po’ proibitiva – non è che il biglietto costasse poi così tanto, ma nella parca mentalità dell’epoca era un po’ da snob pagare un sovrapprezzo per vedere un film che sarebbe stato messo a disposizione di tutti poco tempo dopo.
Nei giorni seguenti, comunque, i critici cinematografici dissero che Guerre stellari era una trasposizione del Western in salsa spaziale. In fondo, non avevano tutti i torti.
Pochi, per esempio, ricordano che Harrison Ford, fu costretto due anni dopo a reinterpretare il personaggio di Ian Solo, proprio in un grazioso Western – Scusi, dov’è il West? (The Frisco Kid) diretto da Robert Aldrich. Una storia in cui, guarda caso, il suo personaggio (Tommy Lillard) doveva scortare un rabbino ebreo (interpretato da Gene Wilder), in un viaggio pericoloso. Non solo c’è un assonanza nella trama (il cinico che deve proteggere l’uomo di fede), non solo la psicologia dei due personaggi di Ford è la stessa, ma i due eroi erano vestiti praticamente alla stessa maniera.
Tuttavia, all’epoca, il commento dei giornalisti non mi piacque, perché non teneva conto dei tanti altri influssi che hanno dato origine a Guerre Stellari. Per citarne alcuni, noti ed evidenti, potremmo riferirci all’epos giapponese dei Samurai o a “Il signore degli anelli”. Cose risapute ed evidenti, certamente di più di quella che secondo me fu un’altra importante fonte di ispirazione di Lucas, il fumetto “Luc Orient” – infatti, se andate a consultare l’episodio “La foresta d’acciaio” (1966), ambientato sul pianeta Terrango, potrete vedere esattamente l’attacco sul pianeta ghiacciato che fa da incipit a “L’impero colpisce ancora”, con tanto di semoventi con lunghe gambe, capitanati proprio da un traditore, che attaccano le trincee dei ribelli che combattono il terribile imperatore.
Sono passati quarant’anni e la saga consta ormai di ben tre trilogie (una trilogia di trilogie) è quello di Guerre Stellari è ormai un ecosistema narrativo in cui ambientare infinite storie, su miriadi di pianeti in gran parte da scoprire, popolati di alieni di cui, in fondo, sappiamo ancora così poco.
La Disney, dopo aver sfruttato il franchising appena acquistato, con l’ultima di queste trilogie, decise di basare il lancio della sua piattaforma di streaming su una serie che sfrutta il successo mondiale di un personaggio tutto sommato secondario della saga: Boba Fett.
The Mandalorian, creata da Jon Favreau (assai noto agli appassionati dei supereroi Marvel) e prodotta da Lucasfilm, è la prima serie televisiva live action ambientata nell’universo di Guerre stellari.
Ma qui torniamo alla questione del western, evocata nella mia digressione iniziale.
Le vicende si svolgono circa cinque anni dopo quelle narrate nel film “Il ritorno dello Jedi” e venticinque anni prima di quelle de “Il risveglio della Forza”. Il protagonista è Din Djarin, un cacciatore di taglie mandaloriano che opera oltre i confini della Nuova Repubblica.
Scopriamo così che Boba Fett, non era solo un fissato degli elmi fashion e degli zainetti a propulsore jet, ma un componente di una vera e propria tribù con una sua specifica filosofia di vita e con delle competenze che si tramandano da generazioni. Dato che i poveretti sono stati quasi completamente annientati dal malvagio impero, ecco che il parallelo con gli indiani d’America diviene sempre più stringente.
In effetti, nonostante gli innumerevoli elementi in comune con la saga di origine, a me pare che The Mandalorian ne prenda un po’ le distanze. Nonostante la presenza di un mini-Yoda, già celeberrimo ancor prima della diffusione del serial, almeno nella prima stagione, sembra mancare l’elemento centrale di Guerre stellari, la Forza. I mandaloriani, in vero, credono in una sorta di filo sottile che conduce le loro vite, che essi chiamano la Via. Ma non hanno nessun potere su di essa. La qualità della loro azione sarà tanto più consona agli insegnamenti quanto più l’adepto saprà intuire dove la Via vuole condurlo e saprà dirigersi in quella direzione senza opporsi o interferire.
Sono sostanzialmente fatalisti, anche se fieri come un Apache. Siamo in pieno western.
La mancanza della Forza, inoltre, è ancora più evidente nella colonna sonora, che in quest’opera sembra discostarsi notevolmente dalle atmosfere sapientemente create da John Williams. C’è l’avventura, ma non il mistero.
La serie è godibile e continueremo a seguirla, anche se l’assenza dei cavalieri Jedi non riesce ancora a trovare un’adeguata compensazione nella particolare natura dei mandaloriani.
Molte sono state le opere che hanno approfittato della fortuna del mondo di Guerre stellari, romanzi, fumetti, serial a cartoni animati, o film il cui compito è definire la saga principale in ogni più piccolo dettaglio, come l’apprezzato “Rogue One: A Star Wars Story” – incentrato su un gruppo di spie ribelli in missione per rubare i piani della nuova arma dell’Impero Galattico, la Morte Nera – e “Solo: A Star Wars Story” – con protagonista un giovane Ian Solo e firmato addirittura da Ron Howard.
Tuttavia, l’opera cui, in questo momento, mi sentirei di assegnare il premio per la sua capacità di farci nuovamente sentire il brivido della battaglia contro l’Impero e la meraviglia dei Jedi e, sorprendentemente, un video gioco del 2019: Star Wars: Jedi, fallen order.
Questo è singolare, perché tutti gli appassionati di video giochi sanno che quelli sviluppati dalla Lucasfilm non sono mai stati un gran che. Eppure, fin dai titoli di testa ci sentiamo di nuovo immersi nella magia di Star Wars.
Sono passati cinque anni da quando l’imperatore Palpatine ha eseguito lo sterminio dei Jedi, e scopriamo che Cal Kestis, un giovane padawan Jedi, si è salvato. Ora vive in incognito, sul pianeta Bracca, facendo il demolitore dei rottami dell’epoca delle Guerre dei cloni. Ovviamente, la Forza gli chiederà di scendere nuovamente in campo e presto avremo una nostra astronave che ci consentirà di esplorare diversi pianeti, con una certa libertà.
Come dicevamo, l’atmosfera c’è tutta. Ci sono i Jedi, di cui apprenderemo nuovi misteri, e si ha proprio la sensazione di essere uno di loro. Che volete di più?!
Non rilassatevi, però, perché, come sempre nei video giochi, è una faticata. Un rutilare di spade laser e di scene di azione che metterà a dura prova i vostri riflessi.
Non vi sono particolari innovazioni tecniche in questo gioco – nei videogiochi di Guerre Stellari non ce ne sono mai – ma un sapiente mix di tutto il già visto. Gli scontri con la vostra spada laser (ampiamente personalizzabile) sono pienamente soddisfacenti, ma non ve la caverete se non avete dimestichezza con le capacità acrobatiche di Lara Croft. Inoltre il personaggio evolverà un pochino, regalandovi nuove capacità che, vi faciliteranno negli scontri, ma vi permetteranno anche di accedere a luoghi da cui siete già passati e che avete giudicato irraggiungibili.
C’è anche un simpatico robottino, non sia mai. Forse uno dei migliori mai visti, anch’egli molto utile nel fornirvi servizi e sostegno sempre crescenti.
La vicenda è ben narrata, con personaggi ben caratterizzati e interessanti. Bravi gli attori giovani, affiancati da vecchie volpi, come Forest Withaker e Tony Amendola.
Sulla storia, molto articolata e appassionante, non vi diremo molto, se non che giungeremo a un finale che ci metterà di fronte a una nostra vecchia conoscenza, che ci farà rizzare i capelli sulla testa perché sappiamo non potrà essere mai sconfitta.
Se sarete svelti di mano e di occhio, allora potrete sfuggirgli e aggiudicarvi la soddisfazione di avere, probabilmente, in qualche modo salvato la vita degli stessi adorati protagonisti principali della saga: Luke Skywalker e Leila Organa.
Non vi basta?! Se volete saperne di più, c’è anche un prequel a fumetti.
© Giorgio Sangiorgi 2020
Giorgio Sangiorgi
Sangiorgi lavora e vive a Bologna. Dopo un esordio nel campo del fumetto, ha vinto alcuni premi letterari locali per poi diventare uno degli autori e dei saggisti della Perseo Libri Il suo libro "La foresta dei sogni perduti" ha avuto un buon successo di pubblico. Ora pubblica quasi esclusivamente in digitale e alcuni suoi racconti sono stati tradotti e pubblicati in Francia e Spagna.