Sette minuti dopo la mezzanotte (2016)
Conor O’Malley (Lewis MacDougall) è un bambino inglese di tredici anni che scopre che la madre Lizzie (Felicity Jones) è malata terminale di cancro. Non ama particolarmente la soffocante nonna (Sigourney Weaver), da cui è destinato ad andare a vivere, e risente d’essere cresciuto senza padre, fuggito in America per rifarsi una vita con una nuova moglie. A scuola, inoltre, subisce le angherie di un gruppo di bulli. Per sfuggire alla devastante realtà, il ragazzo si isola sempre più, convincendo se stesso che la madre starà bene, migliorerà e tutto tornerà com’era prima della malattia.
Una notte, dopo aver guardato con la madre il King Kong del 1933 con un vecchio proiettore, viene visitato da un mostro dalla forma di un gigantesco albero antropomorfo (nell’originale doppiato da Liam Neeson). Questi tornerà ogni mezzanotte e sette minuti per raccontargli tre storie (fortemente allegoriche e visualizzate in animazione) che, per quanto paurose, alla fine lo aiuteranno a navigare nel mondo e affrontare le sue lotte emotive.
Forse il mostro è un sogno o forse è reale ma non importa, è chiaro che si tratta di un espediente per gettare uno sguardo dentro i sogni e gli incubi di Conor, legati allo sconsolato terrore per quello che sarà l’ineluttabile epilogo della malattia e ai suoi sensi di colpa dovuti all’inconfessato desiderio di voler porre fine al calvario della madre e quindi anche al suo.
Il film dello spagnolo Juan Antonio Bayona (The Orphanage, 2007, Jurassic World – Il regno distrutto, 2018) è tratto dal pluripremiato omonimo romanzo per giovani adulti di Patrick Ness, realizzato su un’idea originale della scrittrice britannica Siobhan Dowd sviluppata mentre l’autrice stessa, scomparsa prima della pubblicazione, soffriva di cancro terminale.
La pellicola e il romanzo rappresentano uno straordinario ed efficace viaggio nel dolore della perdita visto attraverso gli occhi di un ragazzino. Non un film di mostri o un horror, como molti hanno erroneamente scambiato, complice sia il titolo originale che quello italiano, ma un’allegoria dell’infanzia, della malattia, della morte e, appunto, del dolore. Una storia di formazione e transizione che sfrutta gli stilemi del fantasy, cosa di per sé non nuova, ricordiamo a questo proposito La casa ai confini della realtà (Paperhouse, 1988, basato sul romanzo Marianne Dreams di Catherine Storr) e il ben più famoso Labyrinth (1986), qui proposta in maniera particolarmente terrificante e straziante.
A parte qualche lieve differenza e semplificazione (manca, ad esempio, l’unica amicizia di Conor e c’è un’aggiunta nel finale), la sceneggiatura, scritta dallo stesso Ness, è talmente fedele al libro che sembra di vedere le pagine del romanzo – e i disegni di Jim Kay che lo illustrano – prendere vita sullo schermo, dove anche gli elementi meno concreti e più concettuali della storia, come il punto di vista del bambino e il suo intento formativo, sono rispettati.
(A Monster Calls, USA-GB-Spagna 2016, 108’, C)
Regia di Juan Antonio Bayona.
Sceneggiatura di Patrick Ness dal suo romanzo A Monster Call, 2011 (Sette minuti dopo la mezzanotte, “Oscar junior”, Mondadori, 2014).
Con Lewis MacDougall, Sigourney Weaver, Felicity Jones, Toby Kebbell, Liam Neeson.
© 2020, Roberto Azzara
Roberto Azzara
(Caltagirone, 1970). Grande appassionato di cinema fantastico, all'età di sette anni vide in un semivuoto cinema di paese il capolavoro di Stanley Kubrick “2001: odissea nello spazio”. Seme che è da poco germogliato con la pubblicazione del saggio “La fantascienza cinematografia-La seconda età dell’oro”, suo esordio editoriale. Vive e lavora a Pavia dove, tra le altre cose, gestisce il gruppo Facebook “La biblioteca del cinefilo”, dedicato alle pubblicazioni, cartacee e digitali, che parlano di cinema.