Roberto Azzara e la fantascienza
Roberto Azzara, cosa rappresenta per te la fantascienza?
È come chiedermi che cosa rappresenta per me l’aria che respiro; tra libri, fumetti e film, ha accompagnato la mia vita sin da che io ricordi. Non solo la fantascienza, ovviamente, ma tutto il genere fantastico che mi permetteva di viaggiare in mondi meravigliosi e vivere avventure straordinarie.
Ci racconti come dovrebbe o potrebbe essere il ‘tuo’ mondo?
In che mondo vorrei vivere, intendi? Non è una risposta difficile, tra tutti i mondi narrativi futuri secondo me il più auspicabile è quello creato da Gene Roddenberry: una Terra senza più guerre dove tutti i popoli collaborano per il raggiungimento di un bene comune e condiviso e dove l’uomo agisce spinto dalla voglia di migliorarsi e non dall’amore per il denaro. Un mondo illuminato ma anche utopistico, però nulla ci vieta di sognarlo.
Il tuo saggio “La fantascienza cinematografica – La seconda età dell’oro” riguarda gli anni ’80, proseguirai fino ad arrivare… ‘là dove nessuno è mai giunto prima’?
In uno dei miei metaforici cassetti, in realtà in una cartella nel mio computer, giace la prima stesura di un saggio simile nell’impostazione a “La seconda età dell’oro” riguardante il decennio precedente agli anni Ottanta, un periodo che ho trovato molto stimolante trattare. Poi era mia intenzione realizzarne un altro sugli anni Novanta, in modo da chiudere il discorso sulla fantascienza cinematografica che ha formato i miei gusti dalla nascita all’età adulta. Più in là, per ora non mi sento di andare: gli anni Duemila non ho ancora avuto modo di metabolizzarli mentre, chissà, forse in futuro potrei volgere il mio sguardo su quelli prima dei Settanta.
Le tavole e la copertina di Roberta Guardascione hanno avuto un buon riscontro nella richiesta del saggio?
Come ho sempre detto, se il libro ha venduto qualcosa è stato soprattutto grazie alle illustrazioni di Roberta, partendo proprio dalla copertina per poi arrivare ai disegni interni, le cui riproduzioni adesso ornano le pareti del mio ufficio!
il tuo saggio è in finale al Premio Vegetti, avresti pensato di poterci arrivare?
Io non pensavo neanche di essere capace di scrivere un saggio di 360 pagine, figuriamoci di arrivare in finale di un premio dove mi troverò a confrontarmi, tra gli altri, con un mostro sacro come Giovanni Mongini, uno dei miei maestri.
Il nuovo saggio “I due volti del terrore” come è nato?
I due volti del terrore nasce dall’incontro della mia passione per il fantastico con quella di Michele Tetro, altro scrittore sulle cui pagine mi sono formato. L’argomento del tomo ci stava particolarmente a cuore: il confronto tra le trasposizioni cinematografiche e il materiale letterario di origine relativo al genere horror. Sin da ragazzo, sperimentare la stessa storia attraverso due diversi medium è stato per me fonte di piacevole divertimento, anni fa avevo anche aperto un gruppo su Facebook sul tema, “Dalla cellulosa alla celluloide”, ormai non più attivo, purtroppo. Partendo dal principio che non esista un medium migliore di un altro per raccontare una storia ma unicamente due modi differenti di intendere, trattare e godere di uno stesso racconto, abbiamo redatto, con l’aiuto di alcuni collaboratori esterni, le schede di circa 340 film dove esaminiamo, appunto, i due volti del terrore, quello narrativo e quello cinematografico. Le opere trattate sono diverse, quindi, tra classiche e moderne (Frankenstein, Dracula, Il dottor Jekyll, Carmilla, L’incubo di Hill House, Rosemary’s Baby, L’esorcista, Shining), così come tanti sono gli scrittori, noti e meno noti, che le hanno realizzate (Poe, Stoker, Stevenson, Lovecraft, Jackson, Leiber, James, King, Barker, Koontz), raccontate anche attraverso box specifici di approfondimento su vari argomenti e autori (personaggi seriali, l’horror per i bambini, gli adattamenti da fumetti, il fanta-horror, per esempio). Il lavoro è partito circa tre anni fa, quando conobbi Michele, ed è andato avanti a singhiozzo più per divertimento personale che per reale convinzione di vederlo pubblicato. Poi, nell’ultimo anno, le cose si sono sbloccate, abbiamo trovato un editore, Michele si è trovato libero dai suoi mille impegni e siamo andati come un treno. Una volta giunti in dirittura d’arrivo è però arrivata la tegola dell’emergenza pandemia che ha rallentato i lavori, non tanto il nostro, quasi concluso, ma quello della redazione. Adesso le cose si sono sbloccate e speriamo che il nostro tomo possa trovare al più presto la via per gli scaffali delle librerie.
La tua passione propende più per la parte cinematografica o per quella letteraria?
I miei gusti e le mie passioni si sono formati prima sulle pagine dei fumetti e sugli schermi televisivi, poi sui libri e sugli schermi cinematografici e sono questi ultimi che hanno maggiormente colpito la mia immaginazione, pur avendo letto e visto veri capolavori in tutti gli altri medium.
Quale film ha scatenato questa bella attrazione?
Senza dubbio 2001: odissea nello spazio, che vidi a sette anni (era il 1978) nel semideserto cinema del mio paese. Nonostante fosse un’opera così lontana dalla narrazione convenzionale, io ovviamente non ci capii niente, era anche incredibilmente affascinante. In quella sala fui investito da una tale quantità di sensazioni e suggestioni, dal senso di meraviglia al mistero, alla freddezza e all’inquietudine che lo spazio poteva offrire, che piantarono in me un seme che col tempo è germogliato e che mi ha portato a occuparmi della fantascienza e del fantastico.
Alla televisione, invece, queste sensazioni me le trasmise Spazio 1999, serie per certi versi figlia del film di Kubrick (ma che io vidi per prima).
Se dovessi scrivere una sceneggiatura o fare la regia di un film, come sarebbe? Quale argomento tratterebbe?
Mi piacerebbe trattare delle reazioni dell’uomo messo davanti all’arcano e all’incomprensibile, argomento che mi ha sempre affascinato, non per niente tra i miei film preferiti di sempre c’è, oltre al citato 2001, opere come Picnic ad Hanging Rock, L’angelo sterminatore o Duel, lo stesso Alien, film molto diversi tra loro ma che credo abbiano questo comune filo conduttore. Un film o una storia dove il focus non è su un mostro ben definito (anche se in Alien c’è) ma su qualcosa di impalpabile al di là dell’umana comprensione.
Progetti futuri?
Il 2020 doveva essere per me un anno ricco di uscite e, nonostante le difficoltà, lo sarà. Dopo I 2 volti del terrore dovrebbe uscire un altro saggio in qualche modo legato allo stesso argomento, cioè al rapporto di un noto scrittore horror, oggi in Italia un po’ caduto nel dimenticatoio, con il cinema. Prossimamente sarò in grado di fornire maggiori dettagli.
Dal punto di vista narrativo, un mio breve racconto uscirà per un volume curato da Giovanni Mongini per i tipi delle Edizioni Scudo. Per me sarà un esordio, perché anche se non è stato il primo racconto che ho scritto, sarà il primo a essere pubblicato. Più avanti, un racconto più lungo sarà pubblicato in una raccolta di storie dell’orrore ambientate in Sicilia, mia terra d’origine, e scritte da siciliani.
Manuela Menci
Manuela Menci è nata a Firenze il 22 aprile 1952 e ha continuamente collaborato alle ricerche per i saggi del marito Giovanni Mongini. Con La Fantascienza su Internet, si è impegnata in prima persona nella ricerca dei cortometraggi, serial e film che appaiono nel volume pubblicato dalle Edizioni Della Vigna: una guida per tutti quegli appassionati di piccole rarità che cinema e TV non riescono a colmare.