RILASSATI, FATTI UNA DOCCIA… TUTTE LE INCARNAZIONI DI “PSYCHO”
Il miglior amico di un ragazzo è sua madre
[Norman Bates/Anthony Perkins in Psycho di Alfred Hitchcock]
Come spesso accade nella realizzazione di un film, all’inizio fu un libro, anzi, un fatto di cronaca che ispirò un libro.
Nel 1957 a Planfield, stato del Wisconsin, un uomo di 51 anni di nome Ed Gein, fu arrestato per l’omicidio di una commessa di drogheria. Il corpo della donna fu ritrovato nel capanno dell’imputato decapitato, appeso per le caviglie e aperto in due. Perquisendo la casa, le autorità trovarono dieci teschi femminili, usati come decorazioni nella camera da letto, pelle umana usata per confezionare diversi vestiti e maschere e come tappezzeria per lampade da tavolo, sedie per un tamburo, ciotole ricavate da calotte craniche umane, un cuore umano, due labbra e quattro nasi umani a decorazione di una finestra, un tavolo con dei femori usati come gambe. Una vera e propria casa degli orrori, insomma.
Gein confessò d’aver ricavato i suoi macabri manufatti dissotterrando cadaveri dai vicini cimiteri e di aver ucciso un’impiegata di una locale taverna, scomparsa dal 1954. Lasciò anche capire di aver commesso altri delitti in gioventù. Tutto ciò senza che nessun abitante della tranquilla cittadina sospettasse qualcosa o notasse niente. Particolare non secondario della vicenda, il rapporto che Ed aveva con la madre Augusta, una fanatica religiosa sessuofobica che crebbe il futuro killer e suo fratello Henry nel più totale isolamento. Morto il fratello in circostante misteriose nel 1944, il rapporto castrante con la madre si intensificò ma fu interrotto dalla morte di lei, avvenuta nel 1945. Gli psicologi criminali definirono questo fatto come la perdita dell’unico filo che ancora ne preservava la sanità mentale.
La cronaca dei fatti colpì lo scrittore in cerca di ispirazione Robert Bloch, in gioventù allievo e amico di H. P. Lovecraft. All’epoca dei fatti i giornali minimizzarono l’accaduto, lo scrittore raccolse quindi pochi frammenti sulla figura di Gein e incominciò a pensarlo, cambiandogli nome, come carattere centrale per un romanzo senza che avesse la minima idea di quanto questo personaggio sarebbe penetrato in profondità nell’immaginario collettivo dei lettori prima e degli spettatori poi, rivelando il cuore oscuro di un’America sconosciuta o, più probabilmente, ignorata.
Il romanzo di Bloch, intitolato Psycho, vide la luce nel 1959. Il protagonista si chiamava Norman Bates, veniva descritto come assomigliante all’attore Rod Steiger, viveva da solo, gestiva un motel e, rifacendosi alle teorie freudiane, aveva un malsano complesso di Edipo. Norman uccideva i clienti di passaggio del suo motel ma non ne conservava memoria: quando commetteva gli omicidi lui diventava la madre, morta anni prima per sua stessa mano.
Idea inusuale per l’epoca, fu quella di far morire la protagonista femminile a un terzo del romanzo. Lo scrittore dà vita a un’eroina, le dà un problema, lascia che il lettore empatizzi con lei e poi la uccide inaspettatamente! Diabolica fu anche la scelta di mettere in scena di questa morte: mentre sta facendo la doccia nuda in uno spazio ristretto, il momento in cui una persona è più indifesa e un posto dove l’intrusione improvvisa è particolarmente scioccante.
Il libro ebbe un grande successo, anche se la critica mainstream lo giudicò con disdegno, come spesso succedeva all’epoca (anche adesso, in realtà) con i gialli e i thriller di questo genere. Nell’estate dello stesso anno, il grande regista Alfred Hitchcock era alla ricerca di un soggetto per un nuovo film, qualcosa di diverso dai “giocattoloni gialli patinati in technicolor”, così li definiva la critica, che tanto avevano fatto guadagnare alla casa di produzione e a lui stesso. Il romanzo di Bloch gli sembrò adeguato allo scopo.
Il risultato fu uno dei film più influenti, citati, copiati e studiati della storia del cinema, il più sperimentale e rischioso girato, del regista e, sorprendentemente, uno dei suoi maggiori successi commerciali. Alcune delle tematiche affrontate sono quasi inedite per l’epoca: il travestitismo, la necrofilia e, appena accennato, l’incesto. Norman Bates, il protagonista interpretato da un Anthony Perkins mai così in parte anche se fisicamente molto diverso dal personaggio del romanzo, diventò il prototipo del serial killer nell’immaginario collettivo. Forse il primo dopo il Peter Lorre di M-Il mostro di Dusseldorf (M – Eine Stadt sucht einen Mörder, Germania 1931) di Fritz Lang.
Purtroppo, per Perkins l’interpretazione di Norman condizionò tutto il resto della carriera. Per tutti gli anni a seguire gli furono offerte solo partecipazioni a film in cui doveva imitare il giovanotto folle della pellicola di Hitchcock. Lo stesso Perkins in un’intervista affermò:
“Il personaggio di Norman Bates è tanto interessante che mi sono accorto subito, fin dal primo film, del fatto che la mia carriera ne sarebbe stata condizionata. La mia somiglianza con Norman Bates è stata per me sempre più dolorosa, più esplicita e più stretta fino a che non mi sono sposato e sono diventato padre di due bambini. Sposarsi e fare figli era qualcosa che Norman, nella sua tragica situazione, probabilmente non avrebbe mai avuto. Appena la mia vita è cambiata anche Norman si è allontanato da me.”
Hitchcock girò Psycho in soli 36 giorni con un budget risibile rispetto alle altre sue produzioni e pagando di tasca propria, visto che nessuna major voleva investire in un progetto così inusuale. Il film seguiva abbastanza fedelmente la trama del romanzo e presentava numerosi virtuosismi tecnici già dalla prima inquadratura: un carrello che parte dal cielo di Phoenix e arriva fino alla stanza d’albergo dove si trova una coppia, non sposata, che ha presumibilmente appena consumato un amplesso (cosa scandalosa da mostrare all’epoca). Virtuosismi che raggiungono l’apice durante la scena dell’omicidio nella doccia, fatta di stacchi e flash, con un gran lavoro di montaggio e con qualcosa come 40/60 inquadrature. Per realizzarla furono necessari 10 giorni di lavorazione per soli 45 secondi di film!
All’epoca la scena fu veramente scioccante, il suo montaggio impressionistico suggeriva violenza e nudità con tale forza da dare l’illusione di mostrare tutto, ma in realtà il tutto era solo suggerito. Ebbe comunque non pochi problemi per passare il visto della censura. Tre giudici su cinque della commissione censura erano convinti (a ragione, sembra) di aver intravisto i seni dell’attrice (una spogliarellista, controfigura della protagonista Janet Leigh) e quindi rispedirono la pellicola al mittente. Hitchcock non toccò il contenuto della bobina e la ripresentò così com’era per una nuova valutazione. Questa volta ai due giudici che la prima volta non avevano visto il particolare, parve di notarlo, agli altri tre no! Il risultato fu che la scena rimase nella versione definitiva così come era stata montata originariamente.
Durante quella scena, il regista infranse altre convenzioni della castigata Hollywood del tempo: mostra per la prima volta sul grande schermo , infatti, un reggiseno nero e una tazza del water.
La sequenza, per quanto magnifica e originale, fu probabilmente influenzata da una con più di un’analogia, anche se tutt’altro che cruenta, presente nel film La settima vittima (The Seventh Victim, 1943) di Mark Robson e prodotto dal famoso Val Lewton per la RKO.
Altra scena memorabile è quella della morte del detective Arbogast (Martin Balsam), accoltellato e precipitato dalla scala di casa Bates.
La casa in stile vittoriano che sovrasta il motel, così inusuale nel paesaggio dell’Arizona dove è ambientato il film, e che da allora diventò il modello di ogni altra casa del terrore, fu chiaramente ispirata al quadro House by The Railroad (1925) del celebre pittore americano Edward Hopper (1882-1967).
A contribuire alla riuscita del film fu anche la colonna sonora di Bernard Herrmann che con i suoi celeberrimi violini urlanti sembrava voler azzannare le terminazioni nervose degli spettatori!
Il film, come accennato, fu un enorme successo commerciale e, forse, anche la vetta della carriera del regista che dopo, pur facendo ottimi film, non riuscì a produrre nulla che si avvicinasse all’intensità di Psycho.
Bloch nel 1982 diede un seguito al suo romanzo con Psycho 2. La trama sfrutta l’espediente metanarrativo, in seguito ampiamente abusato nel cinema, della realizzazione di un film sugli eventi del primo romanzo. Sullo sfondo, l’evasione di Norman dal manicomio criminale in cui era rinchiuso e una nuova serie di delitti. Ambientato vent’anni dopo gli eventi di Psycho, il romanzo gioca sulla confusione e l’immedesimazione dei personaggi reali con quelli che dovranno rappresentate sullo schermo ma, nonostante l’efficace colpo di scena finale, non è niente di minimamente accostabile al precedente.
L’anno successivo è la volta del sequel ufficiale al film di Hitchock, Psycho II diretto da Richard Franklin. La pellicola non è una trasposizione dell’omonimo romanzo di Bloch ma racconta una storia molto diversa. Norman, dopo vent’anni d’internamento, viene considerato guarito e rimesso in libertà. Tornato nella casa di sua proprietà, dove ancora aleggia lo spettro della madre, cerca un difficile reinserimento nella comunità. Qualcuno, però, non vede di buon occhio tutto ciò e cova vecchi rancori.
Il film, non paragonabile al capolavoro di Hitchcock, è comunque godibile. Dal bianco e nero della prima pellicola si passa al colore. L’atmosfera non è più quella castigata degli anni Sessanta, ma presenta una caratterizzazione della violenza tipica degli horror degli anni Ottanta. Del cast originale, oltre ad Anthony Perkins nel ruolo di Norman, ritorna Vera Miles, la sorella della protagonista uccisa sotto la doccia. Torna anche il motel e la casa hopperiana, che venne in parte ricostruita mentre diversi reperti del primo film ancora disponibili furono riesumati dai magazzini di Hollywood dove giacevano dal 1960.
Pieno di citazioni e omaggi al film di Hitchcock, Psycho II ebbe un discreto successo e la cosa invogliò i produttori a mettere in cantiere un ulteriore seguito. Psycho III vide la luce degli schermi nel 1986 e fu diretto dallo stesso Anthony Perkins. La pellicola segue la nuova linea introdotta nel film precedente e, a detta dei critici, è il migliore tra i sequel al film originale. Perkins a proposito della sua esperienza dichiarò:
“In un certo senso Psycho III è stato diretto da Norman Bates. È un film girato dal punto di vista di Norman Bates. Avevo il problema di saltare continuamente di fronte alla macchina da presa e poi dietro. Sarebbe stato snervante se Norman non avesse pensato a dirigere il film mentre io recitavo la sua parte. È difficile recitare in un film e contemporaneamente dirigere gli attori, curare i movimenti della camera e fare le altre mille cose che il film richiede. La presenza di Norman è stata preziosa, tutti i giorni delle riprese.”
Nonostante come regista fosse poco più che un esordiente, Perkins fece un ottimo lavoro. Particolarmente riuscita la scena iniziale, con una voce di donna che urla “Dio non esiste” seguita dall’immagine di una suora che vola giù da un campanile, sequenza che cita esplicitamente La donna che visse due volte (Vertigo, 1958) del maestro Hitchcock.
Il 1987 è l’anno in cui viene trasmesso un insulso spin-off televisivo: Il motel della paura (Bates Motel) diretto da Richard Rothstein. Nato come pilot per una serie televisiva fortunatamente mai realizzata, racconta di Alex West, un problematico ragazzo che aveva stretto amicizia con Norman in sanatorio e che, alla sua morte, ne eredita il Bates Motel (allontanandosi quindi dalla linea narrativa dei film cinematografici). Il film presenta toni da commedia che male si amalgamano con la vicenda e l’ambientazione. La casa dei Bates, che dominava la scena dei precedenti film con la sua inquietante presenza, viene qui trasformata in una innocua ghost house da parco dei divertimenti. Perkins rifiutò di partecipare all’operazione e il suo ruolo, nelle poche scene in cui compare, è ricoperto dall’anonimo Kurt Paul (che ebbe un ruolo anche in Psycho IV).
Il 1990 vede il ritorno di Psycho sia in libreria sia in televisione. Robert Bloch pubblica Psycho House, ambientato dieci anni dopo gli eventi del primo romanzo. Il Bates Motel viene ristrutturato e trasformato nella Psycho House del titolo per intenti turistici. Ovviamente inizierà una nuova catena di omicidi. Il libro è inedito in Italia.
Sugli schermi esce invece il televisivo Psycho IV (Psycho IV: The Beginning), un sequel/prequel diretto da Mick Garris, regista la cui carriera è soprattutto legata a scipite trasposizioni TV delle opere di Stephen King. Due anni prima di morire, Anthony Perkins torna a rivestire i panni di Norman per l’ultima volta. Il film risente troppo dell’impianto televisivo ed è privo dell’atmosfera e del fascino macabro dell’originale: tutto si risolve in inutili flashback di eventi già noti.
Nel 1998 il regista Gus Van Sant realizza un atipico remake/omaggio estremamente fedele all’originale. Seguendo minuziosamente le stesse inquadrature e gli stessi tagli di montaggio hitchcockiani, così come i dialoghi e l’intera trama (con qualche piccola concessione in alcune scene decisamente più esplicite e nella scelta del colore invece che del bianco e nero), Van Sant mette in scena una copia carbone del film originale di cui non si capisce bene il senso o l’utilità. Oltretutto, se l’aspetto formale è ricalcato sul film di Hitchcock, dove la pellicola cede decisamente il passo è nell’interpretazione del protagonista. Impossibile separare la figura di Norman da Anthony Perkins e l’attore Vince Vaughn non regge il confronto, non avendone né l’intenso fascino, né lo physique du rôle.
L’ultima incarnazione della storia risale al 2013 ed è rappresentata dalla serie televisiva Bates Motel. Conclusa nel 2017, trasporta la storia ai giorni nostri ripartendo dall’adolescenza di Norman. Figura centrale della serie è quella della madre, interpretata dalla brava Vera Farmiga, mentre a ricoprire il ruolo del serial killer da giovane è Freddie Highmore. L’ambientazione si sposta dai deserti dell’Arizona al boscoso nord della California, la casa rimane invece identica all’originale.
Nel 2012 era uscito il film Hitchcock di Sacha Gervasi, con Anthony Hopkins nei panni del corpulento regista, sulle vicende che portarono alla realizzazione del capolavoro originale. Il film è basato sul libro del 1990 di Stephan Rebello Come Hitchcock ha realizzato Psycho (Alfred Hitchcock and the Making of Psycho), pubblicato in Italia più di recente col titolo Hitchcock, l’incredibile storia di Psycho.
Per concludere, la vera storia di Ed Gein è raccontata nel film del 2001 Ed Gein, il macellaio di Plainfield (Ed Gein) di Chuck Parello. La figura del serial killer è stata anche d’ispirazione al personaggio di Leatherface dei film della serie Non aprite quella porta (The Texas Chainsaw Massacre), iniziata nel 1974 dal regista Tobe Hooper, e a quello di Buffalo Bill del romanzo di Thomas Harris Il silenzio degli innocenti (The Silence of the Lambs, 1988) e del film omonimo di Jonathan Demme (1991).
Roberto Azzara
(Caltagirone, 1970). Grande appassionato di cinema fantastico, all'età di sette anni vide in un semivuoto cinema di paese il capolavoro di Stanley Kubrick “2001: odissea nello spazio”. Seme che è da poco germogliato con la pubblicazione del saggio “La fantascienza cinematografia-La seconda età dell’oro”, suo esordio editoriale. Vive e lavora a Pavia dove, tra le altre cose, gestisce il gruppo Facebook “La biblioteca del cinefilo”, dedicato alle pubblicazioni, cartacee e digitali, che parlano di cinema.