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La prima volta di 2001: Odissea nello Spazio
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Con questo articolo cominciamo una serie che intende occuparsi di alcuni film di fantascienza, ma da un punto di vista particolare: analizzare la prima stesura delle loro sceneggiature. Un film infatti ha un’elaborazione complessa e articolata, che parte da un testo scritto, che però spesso subisce riscritture e rielaborazioni da parte dello stesso o di altri autori, dal produttore o dal regista, talvolta decise o improvvisate all’ultimo momento. Quindi è facile che la forma finale del film sia ben diversa da quella del suo progetto iniziale. Cominciamo con quello che da molti è considerato il miglior film di fantascienza di sempre: 2001 odissea nello spazio (2001: A Space Odissey, 1968). La sua sceneggiatura, come è noto, fu scritta dal regista Stanley Kubrick e da uno dei più famosi scrittori di fantascienza, il fisico inglese Arthur C. Clarke.
Una prima stesura della sceneggiatura al 1965, e ogni scena porta una data precisa, dal 13 ottobre al 14 dicembre.
Il copione inizia con la dicitura:
PARTE 1 – AFRICA, 3.000.000 ANNI FA
Segue quindi una serie di descrizioni povere di annotazioni tecniche e dal tono narrativo-letterario, insolito per un copione cinematografico.
Siamo in un paesaggio africano preistorico, segnato da una siccità che dura da 10 milioni di anni. Siamo introdotti a un personaggio denominato Moonwatcher (Guarda-la-Luna), membro di una tribù di cosiddetti uomini-scimmia, non ancora umani ma già più evoluti delle scimmie. Moonwatcher è particolarmente intelligente, longevo e alto e questo lo ha portato alla guida della sua tribù. Rispetto ai suoi compagni è già un gradino avanti nel processo evolutivo. Una mattina, svegliandosi nella caverna dove vive con 20 suoi simili, Moonwatcher scopre che colui che chiamava il Vecchio, suo padre, è morto nottetempo, e porta il suo corpo fuori dalla caverna per lasciarlo alle iene, come da prassi con i defunti. Come ogni giorno, Moonwatcher guida il suo gruppo a un vicino ruscello, dove, come al solito, si svolge uno scontro con una tribù rivale, detta gli Altri, per abbeverarsi a quel ruscello. In realtà i due gruppi si limitano a lanciarsi urla e gesta di sfida e, come sempre dopo pochi minuti, ognuna delle due tribù beve nella sua parte di ruscello. Quindi la tribù di Moonwatcher si sparge per la radura circostante alla ricerca di radici e fragole: sono vegetariani, nemmeno concepiscono che gli altri animali possano essere fonte di cibo. Moonwatcher si accorge della vicinanza di un leone: tutti fuggono, ma uno di loro non riesce a evitare le sue fauci. Moonwatcher poi trova un alveare in un albero: ghiotto di miele, ne mangia in abbondanza.
Quella notte Moonwatcher si arrampica su un albero per quella che è la sua unica passione: contemplare il Piccolo Sole che non scalda, ossia la Luna. In quegli stessi momenti una famiglia della sua caverna viene sbranata da un leone.
La mattina dopo, gli Altri, comandati da Big Tooth (Grosso Dente), notano che la tribù rivale è ridotta di numero, ne traggono coraggio e il quotidiano scontro al ruscello passa dai gesti ai morsi. Spaventati, i seguaci di Moonwatcher si ritirano, ma anche gli Altri perdono slancio. Alla fine, solo Moonwatcher e Big Tooth retano a confrontarsi e nella zuffa, quasi per caso, Moonwatcher sbatte la testa del rivale contro una pietra. Big Tooth ne resta indebolito e Moonwatcher ripete quel gesto fino a ucciderlo. Gli Altri fuggono spaventati, lasciando il ruscello ai nemici. Tornato stanco nella grotta, Moonwatcher sente un rumore mai udito prima sulla Terra: quello del metallo contro la roccia.
All’alba, la tribù di Moonwatcher trova fuori dalla caverna la Nuova Roccia: un cubo trasparente di 4 metri e mezzo di lato, scintillante alle prime luci del sole. Tutti restano a guardarlo a lungo esterrefatti, e Moonwatcher concepisce la prima teoria mai elaborata da un essere terrestre: si tratta di una pianta cresciuta nottetempo. Si avvicina per leccarlo e morderlo, ma non ne trae alcun nutrimento, così, stabilito che quel cubo non è né una minaccia né un cibo, gli uomini-scimmia se lo lasciano alle spalle, ma fatti meno di 100 metri, sentono provenire dalla Nuova Roccia un rumore intenso e ritmico, anch’esso mai udito. Quasi ipnotizzati, gli ominidi si radunano intorno al cubo, accennando i primi passi di danza della storia.
Una famiglia composta da una coppia adulta e due cuccioli mangia i resti di un facocero: sono i primi carnivori. Un altro facocero passa davanti a loro, e il maschio adulto afferra una pietra e la scaglia contro la testa del quadrupede, uccidendolo. La scena è ripetuta al rallentatore.
Si fa buio. Il cubo è sempre meno visibile e gli ominidi se ne allontanano, come svegliandosi da un sogno, per tornare alla caverna. Moonwatcher quella notte sente un impulso nuovo e potente: quello di uccidere. Il testo lo definisce “il suo primo passo verso l’umanità.”
È passato un anno. I membri della tribù di Moonwatcher sono diversissimi da prima. Hanno imparato a usare le pietre come armi, a cacciare e mangiare gli altri animali. La loro condizione fisica è migliorata, hanno del tempo libero, e hanno imparato la nozione del piacere. Ma il leone è ancora una minaccia, così gli tendono una trappola, usando la carcassa di un facocero come esca, e lo schiacciano con un masso. Anche un membro della tribù muore per sbaglio in quest’operazione. Poco dopo, il cubo scompare così com’era arrivato. Ignaro che esso era la fonte dei loro progressi, Moonwatcher se ne dimentica presto.
Un’altra minaccia è rappresentata dagli Altri, tornati al ruscello dopo un periodo di dispersione. Il loro capo ora è One-Ear (Un Orecchio). Un mattino gli Altri vedono 15 loro rivali che si dirigono verso di loro con insolita calma, e stringendo qualcosa di nuovo: bastoni e coltelli di osso. Quando sono di fronte, il gruppo dei nuovi arrivati si apre e dal loro interno Moonwatcher ne emerge brandendo un ramo con la testa del leone. Quindi lui guida il suo gruppo dall’altra parte del ruscello, raggiunge l’esterrefatto One-Ear e lo colpisce a morte con un bastone ricavato da un osso di antilope. Intimoriti, anche gli Altri si sottomettono a Moonwatcher.
FINE DELLA PARTE 1
PARTE 2
Siamo nell’anno 2001 dopo Cristo.
Una voce narrante ci spiega la situazione dell’epoca. La fame è un problema quasi risolto, a differenza della sovrappopolazione, ma ancor più grave sulla Terra è la tensione fra le due super-potenze rivali: Usa e Urss. La loro guerra fredda si è trasferita nello spazio, e a 160 km d’altezza orbitano le loro gigantesche bombe atomiche. E sullo schermo scorrono le immagini di queste bombe, contrassegnate dalle sigle USA e CCCP e dalle rispettive insegne, ma si vedono anche le bombe dei loro alleati, fra cui Francia, Germania, Cina: 27 nazioni in tutto.
La nave spaziale Orion-III viaggia 320 km sopra la Terra. Il suo unico passeggero è Heywood Floyd, che dorme mentre la sua penna fluttua libera nell’assenza di gravità. Una hostess la vede sul suo monitor e si sposta nell’area passeggeri per rimetterla nel taschino di Floyd. All’esterno la luce del sole si riflette sulla superficie della meta della Orion: la Stazione Spaziale 5. Attorno a essa volano altre due navicelle: la Titov-V e la Aries- IB. Intanto, Floyd si sveglia intorpidito. Il co-pilota della Orion prende contatto con la stazione per l’attracco, che poi si svolge senza problemi, mentre la Terra appare come uno sfondo emozionante. Floyd raggiunge la stazione tramite un ascensore, accolto dall’agente della Sicurezza Miller, che, dopo uno scambio di convenevoli, lo accompagna all’accettazione, e poi al controllo passaporti, che viene svolto con un controllo vocale da un’impiegata tramite un monitor tv. La ragazza lo avvisa che, a causa degli alti costi di trasporto, in caso di decesso il rientro della sua salma non è garantito, ma sulla stazione può sempre stipulare un’assicurazione.
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Un galagone
Espletate queste pratiche, Miller lo accompagna al ristorante con vista sulla Terra, dove è stato prenotato un tavolo. Per strada, Floyd si ferma a una cabina video-telefonica, che però e fuori uso, e poi a una seconda, da dove chiama sua figlia. L’indomani la bambina compirà 6 anni, e Floyd si dice dispiaciuto che per impegni di lavoro non potrà essere presente. Salutata la piccola, Floyd si connette con un negozio di animali nella Stazione e compra un piccolo galagone, scelto da un gruppo di sei rinchiusi in una gabbia, per inviarlo alla figlia (ora rivela il suo nome: Josephine) come regalo di compleanno. Durante la conversazione Floyd vede arrivare un gruppo di quattro scienziati russi, un uomo e tre donne, fra cui la sua amica Elena. Floyd poi li incontra nel salone, dove Elena lo presenta agli altri. Il russo, di nome Smyslov, lo invita a bere ma Floyd accampa una scusa per defilarsi. Comunque i convenevoli continuano, ed Elena spiega che il suo gruppo sta ritornando sulla Terra dopo un lavoro durato tre mesi sulla Luna, dove invece si sta recando Floyd. Smyslov gli chiede se la sua meta non sia la base di Clavius, e Floyd lo ammette. Elena lo incalza, gli chiede perché la base è isolata e priva di comunicazioni da due settimane, al punto da rifiutare lo scalo a una navetta sovietica in emergenza. Floyd si mostra sorpreso, e Smyslov gli chiede se siano vere le voci di un’epidemia a Clavius. Al che Floyd risponde di non essere autorizzato a parlare e li saluta cortesemente.
La navicella Aries-IB naviga verso la Luna. Il narratore spiega che si tratta dell’”ultimo modello” in fatto di trasporti sulla Luna e spiega il suo funzionamento. Al suo interno, Floyd dorme assicurato a una poltrona. Una hostess guarda un incontro di karate femminile in tv, quando un’altra arriva con un ascensore e porge alla prima il vassoio con la colazione di Floyd, poi torna in cucina e risale alla cabina di pilotaggio per portare da mangiare al pilota e al co-pilota. I tre si interrogano sul loro unico passeggero e sui motivi del suo viaggio sulla Luna, e il co-pilota avanza l’ipotesi di un’epidemia. Il pilota decide di chiedere lumi direttamente a Floyd, e lo raggiunge mentre finisce di mangiare. Il pilota gli chiede a proposito della misteriosa situazione a Clavius e cosa sa della presunta epidemia, anche perché sua figlia lavora alla base e non ha sue notizie da tempo. Ma anche stavolta Floyd si dice impossibilitato a rispondere.
L’Aries si avvicina alla Luna. Floyd fa una visita in bagno e legge le complicate istruzioni, poi entra nella cabina di pilotaggio. La navicella è nell’orbita della Luna. Mentre si svolgono tutte le manovre di allunaggio, descritte con tono documentaristico, la voce del narratore ci spiega che Clavius è la prima colonia americana sulla Luna, abitata da 1100 persone, forgiata sull’ambiente lunare ma adattata alla vita umana; i suoi fabbisogni sono ottenuti dal trattamento delle pietre lunari. Le immagini passano a mostrarci le attività dei bambini scuola, e il narratore ci dice che la bassa gravità causa un sensvo di benessere e che i coloni, specie i più giovani, rappresentano una nuova umanità che non considera la Terra come casa sua, perché “era ormai vicino il momento in cui la Terra, come tutte le madri, deve dire addio ai suoi figli.”
In una specie di parco giochi ci sono tre donne con i loro bambini, e di lì passano Floyd e le 7 persone che lo hanno ricevuto, fra cui Halvorsen, l’amministratore della colonia. Floyd si complimenta con lui per i progressi fatti nel rendere l’ambiente accogliente e simile alla Terra. Il gruppo arriva alla sala conferenza. Seduti attorno a un tavolo a U ci sono 20 persone. Halvorsen presenta loro Floyd come un “distinto membro del Consiglio Nazionale di Astronautica” al quale spetta il discorso introduttivo. Floyd premette che la scoperta fatta sulla Luna è senza precedenti, e per questo lui condivide la decisione del Consiglio di mantenere il segreto al suo riguardo, perché “non dovrebbe essere difficile realizzare il potenziale dello shock culturale e del disorientamento sociale contenuti nella presente situazione se i fatti venissero resi pubblici prematuramente e all’improvviso, senza la preparazione e il condizionamento adeguati”: da qui la montatura dell’epidemia. Lo scopo della sua visita è quindi verificare a fondo la situazione e dare al Consiglio indicazioni su se, quando e come rivelare la scoperta. Finita l’introduzione, il geologo Michaels domanda fino a quando sarà necessario mantenere l’inganno. Floyd risponde che questo lo deciderà il Consiglio, ma ricorda anche che tutti i presenti hanno fatto giuramento di riservatezza.
In un’intervista del 1957, Clarke anticipò questa tematica: “Non ritengo per il presente che l’umanità si trovi su un piano morale sufficiente per sopportare impunemente uno choc come quello provocato dalle imprevedibili sorprese che ci attendono nello spazio.”[1]
Si passa al paesaggio lunare, dove viaggia il Bus Lunare con a bordo Floyd, Halvorsen, Michaels, Simpson, il pilota e il co-pilota: tutti indossano una tuta spaziale. Mentre Halvorsen e Michaels intrattengono una banale conversazione, Floyd esamina mappe e fotografie.
Poi la cinepresa fa una lunga visione di uno scavo tenuto al buio. I sei, scesi dal Bus si dirigono a piedi allo scavo, detto TMA-1. Michaels gira un tasto su un pannello di controllo e lo scavo si illumina. Il copione qui fa una strana omissione: non rivela la forma del manufatto al suo interno. Dai dialoghi emerge però che è nero e costruito in un materiale eccezionalmente duro. Michaels, da geologo, dice a Floyd che è stato sepolto deliberatamente 4 milioni di anni fa. Da chi? Essere intelligenti extraterrestri, senz’altro, ma con quale scopo? Halverson pensa che non lo sapremo mai, mentre Michaels suggerisce che la Luna sarebbe un buon punto d’osservazione verso la Terra, e aggiunge che il suo colore nero fa pensare a uno strumento a energia solare: ma allora perché seppellirlo? Simpson, studiando i rapporti, riferisce che dalla sua scoperta è stato esposto al sole solo una volta: alle 8.43 del 12 aprile, 45 minuti dopo il tramonto lunare. Nel gruppo c’è un fotografo che chiede agli altri di mettersi in posa. Fatti alcuni scatti, non appena gli scienziati lasciano la posa parte “una lacerante serie di cinque grida elettriche, ognuna come un segnale orario spaventosamente sovraccarico e distorto. […] Poi scende un misericordioso silenzio.”
L’argomento della civiltà extraterrestre evoluta è affrontato da Clarke nell’intervista del 1957: “Poiché siamo relativamente i nuovi arrivati nell’universo, sarei propenso ad aspettarmi che la maggioranza delle razze dell’universo che poterono sviluppare la loro intelligenza, l’abbiano fatto in misura superiore alla nostra.”[2]
La parte descrittiva del testo si limita a un conciso: “Varie riprese di monitor spaziali, asteroidi, il Sole, Plutone, Marte”, mentre il narratore racconta che il telescopio spaziale DeepSpaceMonitor79 compie la sua abituale osservazione al di là di Marte e sulle tempeste solari. Ma allo stesso tempo, insieme ad altri satelliti intorno a Marte e Plutone, il telescopio nota un’intensa tempesta radioattiva venire dalla Luna.
Fine della parte II
[1] Faletti, Cesare: Abbiamo intervistato Arthur C. Clarke, Oltre il cielo n. 3, ottobre 1957
[2] Faletti, Cesare: op. cit.
Continua domenica 23 febbraio
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Mario Luca Moretti
Altri interessi oltre al cinema e alla letteratura SF, sono il cinema e la la letteratura tout-court, la musica e la storia. È laureato in Lingue (inglese e tedesco) e lavora presso l'aeroporto di Linate. Abita in provincia di Milano
C’è anche The Lost Worlds of 2001, da Clarke, dove lui presenta storie con altri variazioni del tema che lui aveva scritto e anche discartato per il film man mano che il proggetto tirava avanti.