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17 – Acqua su Marte

17 – Acqua su Marte

Marte appare ora come un mondo morto e la poca acqua che sarebbe ancora presente si addenserebbe tutta nelle zone polari.

Eppure, Marte non è sempre stato così, perché tutto lascerebbe pensare che una volta fosse un pianeta con un clima più umido, con un’atmosfera ben diversa da quella attuale, ricca d’acqua. Al suolo ci sarebbero stati dei fiumi e dei laghi e, forse, persino un oceano.

L’acqua era presente in grandi quantità sul pianeta e lo dimostrerebbero alcuni dei crateri più antichi che portano tracce di colate di fango e sono state notate anche alcune tracce di erosione tipicamente provocate da ghiacciai ora scomparsi. Inoltre, dei sottili e sinuosi canali costellano la superficie marziana e anche dei grandi canali di deflusso terminanti in depressioni ricoperte di sedimenti.

Ora si è praticamente certi che c’è o c’è stata acqua congelata ai poli, ma c’è acqua liquida e salata in forma di rivoli-fantasma, che appaiono e scompaiono.  La zona interessata è quella conosciuta come “Hale Crater“ e le l’immagine erano eloquenti perché dalla sua sommità si propagano tante linee scure e parallele e dimostrerebbero, l’evidenza visiva che l’acqua, in certe condizioni, si manifesta ancora come noi terrestri siamo abituati a vederla.

Liquida, appunto.

Ancora una volta il responsabile di questa scoperta è il Mars Reconnaissance Orbiter che ha utilizzato la spettroscopia per analizzare, su diverse lunghezze d’onda, le “firme” lasciate da una serie di specifici minerali, i perclorati.

Si tratta di sali idrati che si manifestano solo in presenza di acqua e rappresentano perciò la “pistola fumante”, sebbene indiretta: l’acqua c’è, anche se la sua “foto” manca ancora, sfuggendo alla curiosità universale.

Però dobbiamo dire anche che l’astrofisico dell’Accademia dei Lincei Giovanni Bignami non è esattamente dello stesso parere degli scienziati della NASA che hanno organizzato una conferenza dal roboante titolo “Mistero Risolto.” Egli infatti ha detto che:

Non è esatto dire che è stata scoperta l’acqua su Marte: è stata osservata la sicura presenza di sali idrati, tracce di colate che ci dicono che deve essere scorsa dell’acqua liquida nella quale erano presenti sali. È importante sottolineare come l’acqua possa risalire solo al passato perché su Marte, con un’atmosfera così sottile e a quelle temperature, non può esistere acqua liquida. Al massimo può esistere per pochi minuti dato che evapora poco dopo. Comunque, l’osservazione fatta si tratta di un’eccellente conferma di quanto già trovato in passato. Non so se definirla una grande scoperta

Su chi abbia veramente ragione non è facile dirlo anche perché difficilmente la zona potrà essere esplorata; un’ipotesi che sarebbe anche possibile perché la sonda Curiosity si trova a soli 50 km dalla zona interessata e potrebbe anche essere in grado di raggiungerla, ma il problema è che esiste un trattato internazionale: L’Outer Space Treaty (Trattato sullo spazio extra atmosferico) e, prima ancora, la risoluzione Onu 2222 del 1966, impongono agli Stati di “evitare la dannosa contaminazione dello spazio e dei corpi celesti.”

Potrebbe sembrare una precauzione eccessiva, ma è un’eventualità tenuta ben presente quando un veicolo viene inviato su un altro pianeta per esplorarne il suolo.

I microrganismi terrestri hanno dimostrato di poter resistere anche a condizioni proibitive per cui, anche dopo un viaggio di centinaia di milioni di chilometri come quello percorso da Curiosity per mesi nello spazio profondo, non danno la certezza che gli eventuali “passeggeri” possano non aver resistito alla traversata. Casi del genere, infatti, sono già avvenuti con precedenti sonde lunari.

Il clima di Marte è cambiato rapidamente, troppo rapidamente, rispetto ai tempi geologici, come se una grande catastrofe avesse impedito al pianeta di continuare la sua marcia verso la vita.

Se si eccettua la Terra che è riuscita a sopravvivere alle catastrofi geologiche pur cambiando totalmente le forme di vita che la dominavano, tutti gli altri pianeti del sistema solare sono stati devastati da impatti catastrofici, tutti senza eccezione perché, pur se non ne possiamo avere la prova visuale anche i giganti gassosi come Giove, Saturno, Urano e Nettuno, devono essere stati investiti da corpi vaganti come fu il recente caso di Giove, bersagliato dai frammenti di una cometa denominata Schumacher – Levy.

Acqua su Marte: Giove bersagliato

All’inizio dei tempi, quando il sistema solare era in formazione e anche dopo, quando ancora era giovane, il rischio di impatto con altri corpi era altamente probabile.

Si pensa infatti che la collisione o anche solo lo “sfioramento” di un corpo delle dimensioni di Marte abbia causato la nascita della Luna perché quindi non pensare che anche Marte abbia visto il suo evolversi interrotto da una catastrofe che ne ha sconvolto la superficie cambiandone completamente il volto e l’aspetto?

Alcune cicatrici presenti sul pianeta rosso darebbero per valida questa ipotesi come il lungo e profondissimo canyon, la “Valles Marineris”, in realtà un insieme di spaccature lungo 4.000 Km, profonda seimila quattrocento metri e larga fino a 640 Km (sul fondo della quale sarebbe stata scoperta l’acqua che affiorerebbe dalle profondità del suolo marziano.

Una scoperta di vitale importanza per il futuro insediamento umano sul pianeta rosso), o come una serie di grandi vulcani, primo fra tutti, il Monte Olympus il quale alto 28 mila metri, ha una base così vasta che coprirebbe quasi tutta la Francia.

Se questo è vero e se un giorno potrà essere dimostrato, non possiamo che provare un grande senso di tristezza per quello che avrebbe potuto essere il gemello della Terra.

Verso il pianeta Marte si volge l’occhio umano, l’unico mondo dove potrà costruire una colonia, l’unico mondo dove, con il tempo e con le opportune risorse tecnologiche, si potrà ricostruire la vita. Qualcuno sta già studiando come portare Marte all’età del ferro sfruttando le ricche risorse petrolifere del pianeta, ma il primo quesito cui occorre rispondere è se, all’interno del pianeta, esistono ancora delle falde d’acqua.

Dall’atmosfera marziana sarà possibile produrre ossigeno liquido e metano da utilizzare come propellente e fonte di riscaldamento. Inoltre, con lunghi, lunghissimi procedimenti chimici, almeno secondo le tecniche attuali, sarebbe possibile rendere l’atmosfera marziana respirabile nel tempo da più di una generazione di coloni.

Si tratta di un tempo astronomicamente minimo, a meno di trovare un reattore bello pronto come nel film “Atto di Forza ma questa è un’altra storia…

Marte ha poi un altro vantaggio rispetto alla Terra: quello di possedere due lune come Phobos e Deimos, scoperti nel 1877 e curiosamente previsti da Jonathan Swift nel suo “I viaggi di Gulliver.” Due ciottoli di modeste dimensioni, rispettivamente di 24 e 15 chilometri di diametro ma importantissimi come basi d’appoggio e di rifornimento.

Quindi il rosso pianeta, argomento ambito per ogni autore di fantascienza che si rispetti, sarà anche la prossima meta di ricerca con altre sonde automatiche. Se poi gli uomini, grazie alla scoperta dell’acqua sulla Luna, potranno porre una base permanente sulla sua superficie, il balzo verso Marte, data la bassa gravità lunare, sarà ancora più facile ed economico.

Nel frattempo, in attesa dell’arrivo del primo uomo su Marte, evento pronosticato verso il 2030, altre sonde sono state lanciate verso il pianeta rosso e gli altri pianeti a noi vicini e una è stata lanciata verso Plutone, l’unico mondo che non era stato ancora immortalato in immagini.

Il famoso meteorite marziano ha mostrato un altro enigma agli studiosi presentando tracce di magnetite di indubbia origine biologica.

Non molto tempo è stato recuperato un altro meteorite di provenienza marziana. Siglato come NWA (Northwest Africa) 7034 e soprannominato “Bellezza nera” (Black Beauty). Questo pesa 320 grammi ed è stato ritrovato recentemente nel Nordafrica.

Mostra alcune caratteristiche che lo rendono unico rispetto alle rocce analizzate dalle sonde della Nasa su Marte in quanto è incredibilmente ricco d’acqua. L’abbondanza di molecole d’acqua in questo meteorite è infatti circa dieci volte superiore a quelle degli altri meteoriti marziani finora conosciuti e fa pensare che esso si trovasse sulla superficie di Marte circa 2,1 miliardi di anni fa.

Dopo il fallimento delle sonde sovietiche Phobos 1 e 2, nel 1988 Mars Global Surveyor fu lanciato il 7 novembre 1996. Questa fu la prima missione riuscita degli Stati Uniti in due decenni e il primo completo successo in assoluto.

Entrata in orbita il 12 settembre 1997, dopo un anno e mezzo iniziò la mappatura nel marzo 1999. La sonda osservò il pianeta da una bassa altitudine, vicino a un’orbita polare lungo un intero anno marziano (equivalente a circa due anni terrestri). La missione fu completata il 31 gennaio 2001 e venne estesa per altri cinque anni. Dal 2 novembre 2006 le comunicazioni con la sonda si sono definitivamente interrotte.

È stata studiata l’intera superficie del pianeta, la sua atmosfera e i dati raccolti sono stati più di quelli raccolti da tutte le altre sonde precedenti. Questi dati importanti sono stati archiviati e sono disponibili pubblicamente.

Tra i più importanti dati scientifici, il Global Surveyor ha inviato immagini di canali e detriti che suggeriscono la possibilità di sorgenti di acqua liquida sulla superficie.

Canali simili sulla Terra sono formati da flussi d’acqua, ma su Marte la temperatura è generalmente troppo bassa e l’atmosfera è troppo tenue per sostenere acqua liquida.

Tuttavia, alcuni scienziati hanno ipotizzato che acqua superficiale liquida possa a volte emergere in superficie, scavare canali e gole e fluisca in seguito sotto al terreno prima di congelare ed evaporare.

Acqua su Marte: PhobosI nuovi dati sulla temperatura e immagini ravvicinate della luna Phobos hanno mostrato che la sua superficie è costituita da uno strato polveroso spesso almeno 1 metro, provocato da impatti di meteoriti durante milioni di anni. I dati dell’altimetro laser hanno fornito la prima visuale tridimensionale della calotta polare dell’emisfero Nord.

La sonda Mars Pathfinder, lanciata un mese dopo il Global Surveyor, atterrò alle 19:05 del 4 luglio 1997, 21 anni dopo le sonde Viking.

In questo caso non possiamo parlare però di atterraggio morbido in quanto la sonda, è letteralmente precipitata sul pianeta alla velocità di sette chilometri e mezzo al secondo quando un paracadute e un sistema di razzi ne avevano rallentato la caduta.

Praticamente allo stesso modo che si è potuto vedere nel film “Pianeta Rosso.”

Pochi istanti prima di toccare il suolo marziano, gli airbag di cui era dotata si sono gonfiati e hanno attutito l’impatto con il terreno e proteggendo strumenti e veicolo che si trovavano all’interno.

La sonda, dopo aver rimbalzato varie volte, si è fermata definitivamente sul suolo del pianeta. Gli strumenti erano però già in funzione ancora prima che la navicella arrivasse al suolo rilevando dati sulla composizione dell’atmosfera marziana e fu in questo modo che gli scienziati a Houston poterono constatare che, a circa 80 chilometri dalla superficie di Marte, c’era una temperatura estremamente bassa: circa 175 gradi sottozero.

Il posto scelto per l’atterraggio si chiama “Ares Vallis” ed è situato in quello che si presumeva fosse il letto di un deposito alluvionale, a una latitudine di circa 19 gradi a Nord dell’equatore. Fatte le debite proporzioni è come se fosse atterrato in Messico.

Su Marte, in quella zona, all’epoca dell’atterraggio era piena estate per cui la temperatura che fu rilevata in tutto il periodo della missione oscillò tra i meno settantotto gradi durante la notte e i meno otto durante il giorno.

Gli airbag si sgonfiarono e uno scivolo permise, se pur con qualche iniziale difficoltà, la discesa del piccolo robot cingolato denominato Sojourner il quale ha cominciato a “camminare” tra le numerose rocce marziane esaminandole.

Grazie allo studio chimico di queste rocce si poté stabilire con certezza che su Marte, un tempo, l’acqua era presente in notevoli quantità. Il rover esplorò la superficie di Marte in un modo che era stato eseguito precedentemente solo dai due rover Lunokhod russi sulla Luna 30 anni prima.

Fino al momento dell’ultima trasmissione il 27 settembre 1997, il Mars Pathfinder inviò 16500 immagini dal lander e 550 immagini dal rover, oltre a 16 analisi chimiche delle rocce e del suolo e dettagliati dati sui venti e altri fattori meteorologici.

Questi dati suggerirono agli scienziati che in qualche momento del passato il pianeta potrebbe essere stato caldo e umido, e potrebbe aver posseduto acqua allo stato liquido e un’atmosfera più densa.

Anche in questo caso gli ufologi si sono scatenati e molti ciarlatani hanno creduto di vedere, tra le rocce di cui è cosparso il rosso suolo di Marte, gli oggetti più strani con torri e cupole in lontananza.

Alcune foto divulgate dalla NASA sarebbero state, a loro dire, falsate. Un insieme di stupidaggini che certamente non fa del bene alla seria e professionale ricerca ufologica.

Vanni Mongini
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Tra i maggiori specialisti mondiali di cinema SF (Science Fiction) è nato a Quartesana (Fe) il 14 luglio 1944 e fino da ragazzino si è appassionato all'argomento non perdendosi una pellicola al cinema. Innumerevoli le sue pubblicazioni. La più recente è il saggio in tre volumi “Dietro le quinte del cinema di Fantascienza, per le Edizioni Della Vigna scritta con Mario Luca Moretti.”

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